Discography: PAUL WELLER (1992 – Go! Discs), WILD WOOD (1993 – Go! Discs), LIVE WOOD (1994 – Go! Discs), STANLEY ROAD (1995 – Go! Discs), HEAVY SOUL (1997 – Go! Discs), HELIOCENTRIC (2000 – Island), DAYS OF SPEED [live] (2001 – Idependiente), ILLUMINATION (2002 – Independiente), STUDIO 150 (2004 – V2), AS IS NOW (2005 – Yep Roc), CATCH-FLAME! [live] (2006 – Yep Roc), HIT PARADE (2006 – Universal)
Alle 18,15 di sabato 22 luglio ero ancora tremendamente indeciso se andare a vedere il concerto di sua maestà  Paul Weller all’Auditorium. Avevo già  perso precedente data romana dell’autunno 2005 a causa di una estrema crisi finanziaria che in quel periodo mi attanagliava. Nonostante fosse passato quasi un anno la crisi, nonostante il cambio di governo, bancopoli, vallettopoli, calciopoli e la vittoria della nazionale italiana al mondiale, il 22 luglio 2006 le mie tasche non erano molto più piene che l’autunno precedente. Poi c’era il fatto che ero venuto a conoscenza del concerto di Paul appena qualche giorno prima e che non avevo previsto la spesa, che nessun mio amico era disposto a sborsare 35 o 50 euro per quel concerto, che tutto sommato aveva appena preso i biglietti di un Festival che si terrà  in Francia e che quindi di musica live ne avrei comunque fatto incetta di lì ad un mese. Non si può mica avere tutto, mi dicevo.
Però Paul Weller è Paul Weller. E’ l’eroe dell’infanzia, il simbolo della controcultura modernista che ti fomentava da adolescente, l’icona dello stile britannico che non ti abbandona neanche da adulto. Ma non si può avere tutto, purtroppo.
Alle 18,15 di sabato 22 luglio ero ancora completamente immerso in questi pensieri, sdraiato sul lettino a bordo piscina di uno sguaiato circolo sportivo sul Tevere. Sole ce n’era poco ormai, così tra un’imprecazione nei confronti del Signor Kevin, l’amico che stava condividendo con me la frescura della piscina che non intendeva cacciare i soldi del ticket, e una sigaretta, rassegnato presi a dare una scorsa a ” Repubblica “. Stavo ormai per mettermi tristemente alle spalle l’idea del concerto, iniziando a pensare al luogo in cui sarei potuto andare la sera per non morire di caldo, quando in un trafiletto assai minuto e, non ho ancora capito perchè, assai nascosto, sul boxino pubblicitario del concerto leggo cinque parole bordate di rosso scuro scritte in stampatello chiaro: last minute ticket 20 euro. Incredulo comunico al mio amico dalle braccine corte Signor Kevin la notizia. L’avarizia scompare sui nostri volti e in meno di 5 minuti ci troviamo in macchina, costume asciugamano e infradito presenti, direzione biglietteria dell’ Auditorium Flaminio.
Naturalmente questo si trova nella parte opposta rispetto all’ombrosa piscina in cui ci trovavamo, per cui in pratica spingendo sull’acceleratore ben oltre i limiti consentiti non siamo riusciti ad arrivare prima di 45 minuti. Prendiamo i biglietti da un ragazzo spagnolo che, con la sua consorte, si era recato a Roma per vedere la performance dell’ex Jam. Saluti e ringraziamenti all’iberico e alla sua signora e ritorno diretto a casa. Qui si sono battuti i limiti spazio temporali fin’ora conosciuti e, credo, anche la supposta impossibile ubiquità  dell’essere umano, se è vero come è vero che in quindici minuti sono riuscito a farmi una doccia veloce ma tonificante, mangiare una piatto di spaghetti con le vongole superbi mentre nel frattempo mi asciugavo e mi vestivo, assaggiare una fetta di invitante melone, bere un dito di Mirto Zedda Piras, lavarmi i denti e uscire. Sulle attività  compiute in quei quindici minuti dal mio amico Signor Kevin vige un silenzio bulgaro, importi solo sapere che s è fatto trovare puntuale all’appuntamento. La tempistica fulminea puzza ancor più di dono miracoloso se si considera che sia io che il Signor Kevin ci prendiamo dei tempi preparatori alle uscite da fare invidia ad attricette e prezzemoline varie à  la Lucignolo.
Nonostante l’illusione dell’aiuto divino e trascendentale, arrivato per la seconda volta all’auditorium sono costretto a fare i conti con la realtà  atea e materialista: sono le ventidue ed il concerto è cominciato alle ventuno e quindici. Cioè in pratica ne ho perso la metà . Per nulla intimidito o incazzato, sgattaiolo nella cavea inferiore anzichè salire le scale che mi avrebbero portato ai miei posti, situati al centro dell’anello superiore dello splendido Auditorium. Il Signor Kevin mi segue circospetto e ci sediamo in seconda fila a circa due metri dal palco, che all’Auditorium però vuol dire stare a circa 10 metri dal gruppo che suona poichè il palco a mezzaluna è stato progettato per consentire di ospitare orchestre e, credo, Opere di vario genere.
Mi stupisce istintivamente il pubblico: davanti a me due 50enni dall’aspetto ordinario, poco più in là  una famiglia inglese con prole, dietro di noi un gruppo di giovanissimi romani che sembravano aver confuso l’Auditorium con il vicino bar alla moda di Ponte Milvio. Appena fatta questa riflessione, mi giro verso il palco e vedo Paul che, coadiuvato in modo perfetto dagli altrettanto solidi Ocean Color Scene Damon Minchella e Steve Craddock , attacca con due pezzi pregiati della sua carriera da solista, “Porcelain Gods”e ” Walk On Guilded Splinters”, entrambi tratti da quel capolavoro che è “Stanley Road”. Immediatamente mi vengono i brividi. Non lo avevo mai visto dal vivo, ma già  lo ascoltavo in macchina con mio padre quando non ero neanche “Teen” e lui si era dato alle sonorità  eleganti degli Style Council. Poi i Jam a diciotto anni, poi ” Wild Wood ” e ” Heavy Soul” e poi tutte queste nuove generazioni che gli fanno il verso e me lo ricordano”… Ed ora lo vedevo davanti a me, dimenarsi con l’energia di un ribelle Mod di vent’anni e la classe di un cinquantenne adoratore del Soul e del R&B, con una voce ancora così calda, profonda, potente. Dopo questi primi dieci minuti di estasi, condivisa dal resto del pubblico a quanto mi è parso, parte il riff di ” In the Crowd”. Il Signor Kevin applaude compiaciuto nell’ascoltare la canzone dei Jam che più ama, mentre per me l’estasi continua finchè l’ebetitudine estatica viene rotta dall’esplosivo assolo del batterista Steve White, un vero “Casuals” da curva inglese che spinge sui tamburi come se stesse suonando per il pubblico più apprezzato della sua carriera. Nel frattempo il Modfather N °1 sorseggia nervosamente una birra e, sigaretta in bocca, inizia a far vibrare la chitarra con la gestualità  Maximum R&B degli Who. Poi arriva il momento del pianoforte, dopo che la prima parte del concerto era stata contraddistinta da un’ampia dose di sonorità  acustiche, e iniziano le note della struggente bellezza di ” You Do Something To Me “, seguite dal blues alla Dr. John di ” Broken Stones “, che termina con un giro del palco con il tamburello alla mano a scandire i tempi degli applausi del pubblico. E’incredibile, assolutamente straordinaria la contentezza che leggo negli occhi di Paul: non sta suonando per contratto, per far soldi, per vendere più copie dell’ultimo, strepitoso doppio cd live ” Catch, Flame” ma è sinceramente euforico perchè AMA la musica, AMA farla ascoltare alla gente, AMA poter comunicare le sue emozioni e la sua vita attraverso le sue canzoni. Lui la AMA veramente la musica, dopo 30 anni di carriera non conosce lo snobismo o il compitino ” perchè quello che dovevo dimostrare l’ho dimostrato” , assolutamente no. Gli brillano gli occhi dalla dalla felicità  quando attacca una ” Long Hot Summer ” di commovente bellezza, e lui li fa brillare a noi, un pubblico di professionisti 50enni, di famiglie con prole, di mezzi Vip impomatati, di ragazzini fichetti, di giovani e vecchi mods ubriachi, di finti critici musicali, di innamorati persi della sua musica. Dopo aver suonato un paio di convincenti pezzi dall’ultimo ” As Is Now”, tra cui spicca soprattutto ” Savages”, è il momento del doloroso ma bellissimo saluto: ” A Town Called Malice “. E’ il delirio. Tutti, da ogni settore, corrono verso il palco per stare più vicini a questo monumento della Storia del Rock, ballando, urlando e cantando a squarciagola che ” it’s a big decision in a town called Malice, yeeeaahhhaaa!”. Mi giro e vedo la moglie del professionista 50enne che mi guarda e ride come una ragazzina mentre batte le mani e grida eccitatissima tutti i versi della canzone.
“‘Fanculo tutti quelli che dicono che il Rock è una cosa da ragazzi, che la vita ti cambia, che poi i dischi che compri quando cresci li butterai, che bla bla bla”…Le emozioni non hanno età  e questi 50 minuti ( ma il concerto è durato in tutto quasi due ore) non li dimenticherò mai. E non sarò il solo, ne sono sicuro.
Grazie di esistere, Paul.
P.S.
Di solito non scrivo recensioni o live report facendomi prendere dall’eccitazione emotiva di un gruppo o di un cantante, cerco sempre di essere magari entusiasta ma sempre abbastanza obbiettivo e razionale. Mi si perdonerà  se in questo caso le emozioni ed i ricordi di un concerto memorabile mi hanno sopraffatto del tutto, benchè proprio per coerenza con i motivi di cui dicevo sopra abbia deciso di scriverlo facendo passare almeno una settimana per evitare descrizioni di smodato fomento. Ora sono le 21,34 del 29 luglio, è passata una settimana esatta da quel live, ma quando ci ripenso mi accorgo che la mia mente e rimasta lì, intorno a quel palco ad urlare euforico “Sto- p a-pologising for the things you never done, “‘cause time is short and life is cruel but its up us to ch’ange This town called Maliceee, yee – yeeahhh”.
Link:
Paul Weller Official Site
Mp3:
Town Called Malice (live Royal Alber Hall, 10-30-02)
Friday Street (live in Braehead, 16-08-02)
You Do Something To Me (from the live “Days Of Speed”)

That’s Entertainment (Noel Gallagher + Paul Weller live at jools holland)