In genere il concetto di supergruppo mi spaventa. Raramente trovo in tali progetti l’ispirazione e la vena creativa che contraddistingue i singoli membri alle origini; non mi appaiono mai come somma delle sensibilità , piuttosto trovo prevalere interferenze distruttive che portano a dischi sfuocati e inconcludenti.

Però qui c’è l’indie con la I maiuscola, in un territorio, come quello della British Columbia canadese, che mai come ora è risultato fecondo di lavori clamorosi.

E allora mi faccio ingabellare anch’io dalla storiella del cottage idilliaco di Vittoria, dove tre menti ispirate come Dan Bejar (New Pornographers, Destoyer), Spencer Krug (Wolf Parade, Sunset Rubdown) e Carey Mercer (Frog Eyes) partoriscono la creatura Swan Lake, autoproducendo in un ambiente familiare e confortevole ““ così almeno recita la cartella stampa ““ il loro esordio “Beast Moans”. Premo il tasto play e sono disorientato. Si capisce subito che non è un disco pop, da prendere alla leggera e fare le pulizie durante l’ascolto; bisogna essere disposti a scavare. Non si può negare la presenza di spunti geniali, di idee sconvolgenti, ma rimangono prevalentemente sospese, senza una forma netta, intrappolate in trame sconnesse e pretenziose, in bilico tra indie-rock a bassa fedeltà  e sperimentazioni sonore.

Un disco volutamente non accessibile, viene da commentare. Si ascoltino l’iniziale “A Widow’s Walk” e “A Venue Called Rubella”: ripulite e strutturate potrebbero essere delle perfette pop-songs orecchiabili.

L’inidiscutibile bellezza di “All Fires” ““ mai traccia promozionale fu più azzeccata ““ sta proprio qui: nel far riemergere il songwriting in primo piano.
Altri brani apprezzabili, da cui partire per un approccio in discesa, sono indubbiamente “The Freedom” e “Are You Swimming in Her Pools?”, un piccolo capolavoro di bellezza elliottsmithiana fuori controllo.
Per il resto, l’album gira stucchevolmente su se stesso: le svogliate reminiscenze folk e i rumorismi d’avanguardia filtrano l’idea di un lo-fi dal sapore snob, un sapore che impasta la bocca e, alla fine, provoca un leggero senso di nausea.
In definitiva, tre stelle, ma una è tutta per “All Fires”.