Il tour con il gruppo è finalmente terminato, di studio e nuove canzoni non se ne parlerà  per almeno i prossimi 3 mesi e oziare non è mai stato il tuo hobby preferito.
Come occupare allora il tanto tempo a disposizione ?
Semplice, chiami a raccolta il tuo fidato amico/produttore Gorwl Owen, imbracci tutti quegli strumenti che adori strimpellare, e tra una birra ed un’altra dai forma e sostanza a tutti quei bozzetti musicali che chissà  da quanto tempo ti gironzolavano in testa. Letta esclusivamente in quest’ottica, la prima esperienza solista di Gruff Rhys era apparsa niente più di uno sporadico passatempo.

Ora arriva il secondo “Candylion” e il punto di vista cambia radicalmente .
La produzione di grossi calibri come Mario Caldato Jr. e Sean O’Hagan (High Llamas), la distribuzione della Rough Trade, il massivo utilizzo di lingua inglese, il tocco low-fi decisamente stemperato in favore di un impasto sonoro più curato, non lasciano dubbi sulla scelta di Rhys di dare seria continuità  alla sua avventura solista, perchè no, in perfetta simbiosi con quella ormai ventennale dei ben più impegnativi Super Furry Animals.

Dietro la maschera cartonata del “candylion” ritroviamo quindi un Gruff intenzionato a far prevalere la sua vena cantautorale, deciso ad abbandonare l’elettronica, seppur sempre di contorno, che ne aveva caratterizzato le sue precedenti esperienze (elementare nel debutto in lingua gallese più dance-oriented in alcuni casi dei SFA).
L’ impostazione si fa a questo punto decisamente folk, acustica, pur senza intaccare quell’approccio scanzonato e assolutamente ironico ormai elemento imprescindibile nella natura del cantante-personaggio gallese.

Siano quindi tranquillizzati gli ascoltatori che da “Fuzzy Logic” in poi, passando da quel capolavoro che fu “Radiator”, avevano apprezzato soprattutto la bizzarra abilità  di modellare la materia pop e il continuo cazzeggio, mai fine a se stesso, perpetrato ai più disparati generi musicali.
La title track ha l’anima irresistibile di una filastrocca per bambini, la trovi stupida, cretina e ne finisci per canticchiare il ritornello ovunque, “The Court Of King Arthur” è l’immancabile omaggio solare a nostra signora la “melodia britannica” (Kinks, The Beatles). Quello che segue poi è il confrontarsi, in perfetto “Gruff Rhys style”, con insospettabili influenze e sonorità .

Country-western dai forti echi morriconiani, ritmi bossa, accenni swing, divagazioni prog, fanno da cornice ad un continuo dividersi tra il serio e il faceto, per intenderci tra il romanticismo di “Now That The Feeling Is Gone” e la conclusiva “Skylon!”, undici minuti nei quali si dipana la storia di un smina-bombe innamorato perdutamente di un’attrice, e gli alcolici scioglilingua in gallese (“Gyrru,Gyrru,Gyrru” “Ffwydriad Yn Y Ffrurfafen”) .
In definitiva con l’impronunciabile “Yr Atal Genhedlaeth “, Rhys aveva fatto le prove generali di quella che appare oggi una carriera solista di tutto rispetto.
Questo ci rassicura non poco, se mai “gli animali superpelosi” si dovessero estinguere possiamo sempre contare su un “leone-carammellato” e sul suo stravagante zig-zagare in territori pop-rock.