Per certo so solo che uscirò da quella porta il più presto possibile. Uscirò lasciandomi alle spalle i tavoli che ruotano in aria e le persone che sbavano vodka sul pavimento.
Scazzato.
Annoiato.
Infreddato.
Stancato.
Butto un’ultima occhiata dentro, verso il piccolo schermo luminescente, Sempre la solita roba. Sempre i soliti discorsi e la solita gente che inflaziona le menti e le sensazioni altrui. Comandante in Capo di sto gran caz*o e Miss Reality Shit a impastare a dovere quello che una volta era un valido strumento per comunicare e per studiare noi stessi. Io non sono più come mi dipinge uno schermo da un bel po’ di tempo e se state leggendo sta roba forse neanche voi lo siete. Ecco quindi due righe su qualcosa di cui non si occuperà  mai l’informazione catodica convenzionale. I Merci Miss Monroe sono italiani, sono al secondo album e viaggiano piuttosto veloce. Il loro è un punk romantico e disilluso, con rimandi sonori importanti quanto evidenti (Television, Nirvana, Sonic Youth, Pixies), ammorbidito da un pop filtrato dal tessuto della Union Jack. Si, qualche influenza brit pop che porta direttamente dalle parti dei Supergrass o da quelle di Graham Coxon come solista.

Niente di complicato: garage pop arpeggiato, garage pop “riffato”, cambi di ritmo, distorsioni e la voglia di non pensare alle cose brutte. Attaccare il jack all’amplificatore, schiacciare il pedale del RAT e vedere un po’ che cosa ne esce. Ottima “Loser Afraid”, ottimissima “The Night Of The Year” dove tutti i discorsi fatti fin’ora si fottono alla grande perchè entrano in scena le atmosfere dal retrogusto country folk, pompate, melodiche e di cui non si era fatto un minimo accenno. Trombone, chitarra acustica e un mood “da saloon” piuttosto coinvolgente. E poi esce anche una canzone come “Wow!”, sussurrata, “morbida”, e toccata sugli occhi da un mezzo coretto surf rock, che mischia ancora un po’ le carte in tavola.

C’è anche la ballata “da ricordare” che chiude il disco (“At The Dawn Rendezvous”) con tanto di e-bow, giro di chitarra acustica in accordi minori e uno sguardo agli R.E.M. di qualche tempo fa. Ma le radici rabbiose ed esplosive che ogni tanto fanno capolino (“Polaroid”) non si possono rinnegare. Non puoi rinnegare mai ciò che sei realmente, anche se fingi e (per comodità ?) dici che sei cambiato. E questa non è musica. E’ vita. Masterizzato a Miami, da chi ha messo le mani sulla roba dei Low, degli Yo La Tengo e dei Galaxie 500, questo è un disco di tutto rispetto che in Italia non apparirà  mai in televisione.
Meglio così.