In ginocchio su questi cocci scheggiati esamino il potenziale della realtà . Lo specchio e l’acqua che lo ricopre, tutte quelle cazzo di uova rotte che mi tormentano la testa, nel sonno, di notte. La testa. Di notte. Il cavallo nordico continua a uscire come da tradizione dallo stomaco di una ragazza. Rimanete la mia intuizione primitiva. Tu mi succhi via la noia dallo stomaco. Tu mi spazzi via la noia dallo stomaco. L’oscurità  continua a filtrare dai buchi dei miei jeans. Ballo da solo dentro la tua ombra. Da solo. Nella tua ombra. Ok, respiriamo un po’ più profondamente. Questi fanno paura. E se quando parte “Invisibile” potresti scioglierti anche se sei seduto sulla punta di un cazzo di iceberg, al momento isterico della rapsodia blues di “Cornice Dance” pensi a Freddie Mercuri e agli Arcade Fire perchè è il momento di urlare, spaccare quello specchio con una sedia (e fanculo alle uova di cui sopra e ai sette ipotetici anni di sfiga). Ma si, in culo anche a chi canta cose strane in falsetto di come si potrebbe essere Grace Kelly o altre cose poco infette. Infette dalla malattia acida dell’alternatività .

Le cose proposte non sono poi così originali e ci sono continui rimandi ma, sinceramente, è una cosa che alla fine non pesa affatto e a cui non penso più dal 1912, bei tempi quelli, quando avevo ancora tutti i denti e il motorino con la marmitta modificata e andavo al cinema a vedere l’ultimo film di Murnau. Una band campana con la melodia nel sangue, qualche campionatore in frigo e una produzione artistica firmata Dustin O’Halloran (Devics). Un gusto emo sporcato e poi ripulito prima dalle distorsioni muscolari e poi dalle centinaia di ascolti alla musica brit e alla cultura di un cantautorato semplice”…affilato. Un accenno di psichedelica, un ricordo veloce per Lennon e un pensiero altrettanto rapido verso Gilmour e poi via verso una canzone acustica (all’inizio) stupenda come “Ease Off The Bit” e spunta anche Bright Eyes, ma solo per qualche istante perchè poi è nascosto bene dietro le veloci chitarre art rock (nu nu nu wave, o come volete voi) che spingono e poi ancora spingono. Sulle onde fosforescenti dell’organo hammond e dentro le sottotracc del moog in “Poweder On The Words” mi sento sereno (quel piccolo spunto di pianoforte è una via di mezzo tra “Let It Be” e “Tell All The People” dei Doors). Una ballata precisa. Che è il temrine migliore credo.

Punto. Nella pioggia non c’è alcun senso. Nella pioggia non c’è alcun senso. Nella pioggia non c’è alcun senso. Nella pioggia non c’è alcun senso. Nella pioggia non c’è alcun senso. Nella pioggia non c’è alcun senso (un po’ come nei piccioni).