Faccio fatica a scrivere una recensione ‘critica’ su “An End Has A Start”. Faccio fatica perchè, lo dico onestamente, se non lo avessi dovuto raccontare per IFB probabilmente non lo avrei neanche scaricato tanto mi hanno deluso i nuovi album di quei gruppi ( Maximo Park e Bloc Party in testa ) che con gli Editors condivisero i posti d’onore della “scena “new-new wave di un paio d’anni fa.
Dopo averlo ascoltato invece faccio fatica perchè quando un disco ti piace così tanto non riesci facilmente a descriverlo se non con un entusiasmo sopra le righe, tipo come quando parli con un amico di quanto è bella, quanto è brava e quanto è intelligente la tua nuova ragazza.
Però in questo caso non posso fare altrimenti, perchè razionalizzare ed incanalare “criticamente” le emozioni che comunica “An End Has A Start” sarebbe impossibile.

Il quartetto di Birmingham riparte dagli stessi lidi del convincente “The Back Room”, solo che stavolta ogni cosa raggiunge livelli di assoluta perfezione pop.
Le chitarre zampillano cangianti ogni volta che penetrano nelle iniziali atmosfere ombrose, illuminano l’orizzonte, tagliano la nebbia ed esplodono in fiumi di luce abbagliante in modo assolutamente incredibile; la voce di Tom Smith si mette alle spalle i riferimenti ingombranti del passato ( lo sforzatissimo paragone con Ian Curtis e il più probabile confronto con Paul Banks ) per raggiungere una totale indipendenza grazie ad un grana vocale ormai unica; la batteria di Ed Lay è potente e perfettamente in linea con l’epicità  pop del resto del gruppo.

Altro che Joy Division e Bloc Party, qui ci stanno semmai le melodie ‘da stadio’ dei Coldplay e l’epos magniloquente dei primissimi U2, quelli di “Boy” e “October”, quelli che si sono ricavati un posto d’onore nella storia della new wave.
Ognuna delle dieci canzoni è una splendida meteora accecante che sbaraglia con delicata prepotenza tutti gli avversari ““ passati, presenti e probabilmente futuri ““ che lo scenario pop internazionale accoglie: come si fa a non adorare “Escape The Nest”, il gioiello infuocato che Chris Martin non ha mai saputo scrivere? E che altro si può dire di un pezzo di speranzosa malinconia wave come “Spiders”? Devo forse aggiungere qualcosa a capolavori chitarristici come “Bones “e la titletrack, che neanche il The Edge dei tempi d’oro sarebbe stato in grado di irradiare a questi livelli? E poi ancora “The Weight Of The Word”, un instant classic da brividi e “The Racing Rats”, ancora chitarre telluriche e refrain pop da stato dell’arte.

Non credo che il 2007 possa chiedere di più alla musica pop(ular) britannica.

Nel caso i Coldplay incidessero un altro disco mediocre, da oggi abbiamo coloro che sono pronti a sostituirli degnamente nell’Olimpo dell’indie pop mondiale.
Lunga, lunghissima vita agli Editors!

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