Si percorre il sentiero fino ad arrivare alla porta, là  sul fondo, piccola, chiusa, ma non a chiave. Giriamo la maniglia e”…
Benvenuti nel mondo (acido e un po’ fricchettone) degli Akron Family.
E’ il tripudio, dei colori, delle voci, dei suoni, degli strumenti, dell’amore libero, è il paese delle meraviglie.

E’ così che si apre “Love Is Simple”, quarto lavoro per i newyorkesi Akron Family, che vede di nuovo la collaborazione con Michael Gira, boss della Young God Records, nonchè scopritore di talenti quali i “nostri” e Devendra Banhart. Non è un caso che sempre in questo periodo sia uscito anche il disco degli Angels Of Lights, progetto che vede appunto gli Akron Family collaborare con Michael Gira. Ma questa è un’altra storia.

I precedenti lavori non mi avevano colpito tanto come questo. E’ un album eclettico, vario dall’inizio alla fine con influenze tra Beatles e Animal Collective (quelli più folk) passando per i Radiohead e toccando i Parenthetical Girls. Un disco che sarebbe potuto uscire 40 anni fa come fra 100 anni, ma la psichedelica folk-pop non sarebbe mai stata indigesta.

E’ l’inno all’amore incondizionato, forse è per questo che mi sembra così 70’s e fric/peace&love, un amore da cantare in coro (“Love, Love, Love (everyone)” è la traccia che apre il disco), con il sorriso sulle labbra, coinvolgendo il pubblico in una grande festa a cui tutti sono invitati (senza frangette e magliette nu-rave che fanno selezione all’ingresso). I battiti di mani e una linearità  con la precedente, introducono la bellissima “Ed Is A Portal”, ballata tribale di più di sette minuti, con banjos e percussioni che spaziano tra mille e più virtuosismi musicali, quasi fosse un canto d’iniziazione. I ritmi si fanno più tranquilli e intimisti, quasi cantilenosi, in “Don’t Be Afraid, You’re Already Dead”, inno che lancia il messaggio “Love Is Simple”, per poi ritornare su sonorità  più cariche (e qui un po’ beatlesiane) di “I’ve Got Some Friends”, mescolando il folk alla psichedelia, soprattutto per quanto riguarda la parte musicale, che mescola trombe a xilofoni, a chitarre, a banjos, a piatti.

I suoni da danza tribale di “Lake SongNew Ceremonial Music for Moms” sfociano nella successiva “There’s So Many Colors”, strumentale per i primi 3 minuti per poi trasformarsi in una variopinta esplosione corale di influenze 60’s, e tornare più controllata sul finale quanto basta per introdurre la successiva “Crickets” con le sue dolci e ipnotiche note.

Gli strumenti fungono solamente da sottofondo in “Pony’s O.G.”, dove protagonista è la voce di Ryan Vanderhoof, creando un’atmosfera soffusa e liquida, quasi un risveglio dall’euforia acida della notte precedente, con i raggi di sole che picchiano sugli occhi ancora semi-chiusi.
E in un attimo la dimensione si capovolge. Il ritmo smorzato dalle precedenti tracce viene invertito per ritornare sul folk-tribale e rumoroso, quasi a ricordarci che per dormire c’è sempre tempo, ora invece è il momento di tornare alle danze: così si presenta “Of All the Things” penultimo brano dell’album, a tratti noise e a tratti ambient, senza mai abbandonare il suo carattere di ballata rock.

E qui il cerchio si chiude, come in una religione orientale. “Love, Love, Love 2 (reprise)” è appunto la ripresa dell’incipit del disco, gli uccellini fischiettano per ribadire il messaggio degli Akron Family, un’ulteriore e fiduciosa ode all’amore.
Che forse non ci darà  la soluzione per i nostri animi innamorati e delusi, ma ci accompagna verso un mondo migliore. O forse solo immaginato.