Inutile nascondersi: ti piacerebbe andare a vedere gli Editors con addosso una maglietta dei Joy Divison e immaginare di vedere, o almeno illuderti di vedere, nella carismatica figura di Tom Smith, quella più sacrale e scomoda di Ian Curtis.
E un po’ ti dispiace che a poco più di un anno di distanza dall’ottimo esordio “The Back Room”, la presunta familiarità  che gli Editors inconsciamente avevano con la band di Manchester si sia dissolta, forse per una giustificata volontà  di prendere le distanze da un paragone scomodo che rischiava solo di penalizzarli.
D’altronde Tom Smith e soci hanno sempre cercato di rinnegare tali influenze, che critici e fans, in buona o mala fede che sia, hanno evidenziato a più riprese.
Sarà  che gli Editors di cavalcare con furbizia la fruttuosa ma scomoda onda del revival new wave, si sono stancati prima del tempo, o comunque prima di illustri colleghi.

Detto fatto, ecco l’ambizioso “An End Has A Start”, con chitarre new wave e testi malinconici che rispondono prontamente all’appello, ma che spesso e volentieri si vanno a scontrare in un’atmosfera a metà  tra gli U2 e i Coldplay, a volte convincente, a volte quasi imbarazzante.
Ne è un lampante esempio la vigorosa trasformazione di Tom Smith, che da frontman statico e impacciato, muta magicamente in carismatico leader, consapevole di sè, delle proprie capacità , e del proprio ruolo.
Che non è altro che un Chris Martin un po’ più incazzato.

Il festante pubblico di un Estragon quasi pieno aspetta però solo lui, dimostrando scarso interesse e una freddezza scandinava per la dignitosa esibizione, più scenica che prettamente musicale, di tali The Boxer Rebellion, simpatico ensemble anglo-americano-australiano, a metà  tra la voglia di spaccare tutto e la necessaria pacatezza da british rock da cameretta, che è poi quella che prevale.

Quando gli Editors salgono sul palco e cominciano con “Lights”, sprecando una delle cartucce migliori, lasciano tutti nello sbigottimento generale.
Ma come si diceva prima, il nuovo Tom Smith mette subito a tacere prima del tempo ogni piccola critica possa prendere vita da un opening francamente poco condividibile: accantonate quelle rigide movenze epilettiche che facevano solo un po’ di tenerezza, chitarra alla mano e arroganza da rock star, il leader degli Editors scalcia, salta sugli amplificatori e intrattiene con il pubblico una sorta di dialogo visivo coinvolgente e convincente.
Tom Smith è diventato una rock star, forse un po’ convenzionale, ma pur sempre una rock star.
Il pubblico ci sta senza pensarci su due volte, e assiste sicuro e compiaciuto, all’alternarsi dei pezzi dei due album, delle due facce della band, sciorinate qui con una naturalezza un po’ rischiosa, ma che in fondo funziona bene.
Le atmosfere più spontanee e serrate di “Blood” e “Bullets” si scontrano con “Escape the nest” e con la tormentata “When Anger Shows”, cupa, intensa, coinvolgente, sicuramente il miglior pezzo dell’ultimo disco, ma che nulla può nei cuori dei fans, legati indissolubilmente ai primi Editors, ma che di certo non disprezzano i nuovi.
E così, quando dopo un inedito intermezzo – “Banging Heads” – gli Editors propongono i due cavalli di battaglia di “An End Has A Start”, la ballata da dance floor “Racing Rats” e “Smokers Outside The Hospital Doors”, dei Coldpaly più dark ma con un gran titolo, cellulari, fotocamere e altri strumenti audiovisivi di massa fanno la loro comparsa dando a Tom Smith la tangibile prova del facile successo mainstream ormai raggiunto.

La chiusura del concerto serve ad una sola cosa: “You Are Fading” (dall’ep “Bullets”) con la sua ritmica in crescere fino ad esplodere in una coda strumentale da brividi e “Finger In The Factories”, intenso vortice di strumenti e dita mozzate, di sudore e fabbriche, ci lasciano percorrere con la fantasia quella che sarebbe stata l’altra strada che gli Editors avrebbero potuto percorrere, invece di virare verso un sound più facile e sicuro.
Forse, ed è più che giustificabile, la voglia per discutere su quanto scuro debba e possa essere l’indie rock per non pagare debiti a nessuno, è venuta a mancare insieme alla maglietta dei Joy Division che con gli Editors non puoi più indossare.

Photo: Arne Mà¼seler / www.arne-mueseler.com / CC BY-SA 3.0 DE