La vita può essere un bicchiere di liquore lasciato a marcire per molti anni. Poi arriva qualcuno disperatamente assetato, che senza far domande se lo beve tutto d’un fiato. Barcolla, forse piange, singhiozza, volteggia furioso, risorge. Con quell’aria da sopravvissuti che ne scolpisce movenze e visi delicati, Andrew VonWyngarden e Ben Goldwasser si sono abbeverati avidi, attaccandosi a quel bicchiere che per troppa pudicizia abbiamo osservato senza far niente.

Vite da rockstar spinte oltre il limite di qualsiasi tossicità , carne precaria, modelle amate e dimenticate un istante dopo, polmoni bruciati come anime che s’agitano inquiete, ma che sventolano solo la voglia di uno gesto di comprensione. Il rock’n’roll come viaggio in prima classe per l’autodistruzione ma senza ammirazione, solo uno sguardo malinconico verso una giovinezza forsennata: questo, forse, il senso straordinario di “Time To Pretend”, canzone simbolo che ha lanciato i Management, duo americano di Brooklyn. La definizione più bella per loro musica se la sono data loro stessi: ‘future seventies’. Una strabiliante mescolanza di elettro-pop psichedelico con incisioni di folk alterato à  la Flaming Lips brucia letteralmete i solchi di questo disco.

Canzoni devastanti cui vanno aggiunti testi di una forza visionaria fuori del comune; versi a tratti profetici, potenti come una poesia di Ginsberg, rivestiti di una luce sacrale, cantati con voce salmodiate, sono la ciliegina sulla torta. “Oracular Spectacular” è un contenitore di stili e generi, laddove si passa da un’attitudine da club in stile Klaxons, a ballate travolgenti intrise di nostalgia, per approdare a veri e propri inni sorretti da un synth geniale. Arcade Fire, David Bowie, Jim Morrisson, Of Montreal, Bee Gees, atteggiamenti glamour, melodie pop, scorrono tra le vene di un album che svetta solitario se paragonato banalmente a dischi che spopolano tra gli indie-dancers.

Ma alla fine ciò che conta sono le canzoni: e quando scrivi pezzi come “Pieces Of What”, “Time To Pretend”, “The Youth” e “Kids” vuol dire che hai gran talento e ottimo gusto. E non a caso il loro produttore è un certo Dave Fridmann, inventore di suoni e atmosfere per Mercury Rev (dei quali è stato anche il bassista, ndr.) e Flaming Lips, il quale ha donato all’album un senso di magniloquente spettacolarità , tra impeti barocchi, ariosi cambi di campo e luccicanti distorsioni ritmiche.
Al prossimo giro di bevute gli MGMT hanno un cicchetto già  pagato.