Credo nelle compensazioni cosmiche. O almeno mi sforzo di crederci. Ad un movimento dissonante corrisponde, lo so, me lo sento, un giro circolare di bellezza. Per ogni disco di Michael Bolton ce ne deve essere un altro che è pronto a ridare dignità  alla musica tutta. E secondo me l’Universo li partorisce insieme.
I fisici, molto più seriamente, le chiamano particelle simmetriche.
La verità  è che le cose belle sono timide, si nascondono e devi andartele a cercare. Nel mio girare per funghi questa volta mi sono imbattuto in una band che ha fatto della collisione tra folk e rock una bandiera, una via di fuga profumata di calde vibrazioni giovanili. In Scozia, tra nebbie e freddi addomesticati a botte di birre scure e wiskhey doppio malto, sono cresciute ottime band, nomi non altisonanti nella maggior parte dei casi, ma non per questo meno validi.
I Frightened Rabbit sono al loro secondo disco e non si perdono in inutili ciance, deragliano tra stomaco e cuore trascinandosi appresso i sogni duri e puri dei Built To Spill, le deviazioni vocali dei Wolf Parade, le melodie appassionate dei Counting Crows, il folk emozionale degli Okkervil River mescolato con l’impatto immediato della velocità  rock’n’roll dei Band Of Horses.

Scott Hutchinson ha una voce melodiosamente storta, acida, tanto sgraziata da fare un giro ubriaca su stessa prima di ritornare a percorrere binari che portano dritti all’emozione pura. “Midnight Organ Fight” è un album senza tante moine, duro, diretto, veloce, straripante di quell’energia giovane che abbatte i muri e scala le montagne senza un senso preciso. Canzoni da antologia vorticano con occhi umidi e sangue caldo, da adolescenti impaurite diventano donne affascinanti grazie all’impeccabile produzione di Peter Katis, deus ex machina di Mercury Rev, Interpol e The National.

“Head Rolls Off”, “The Modern Leper”, “Old Old Fashioned” sferragliano luccicanti tra midollo e sangue, aprono tramonti nella notte scura, rivitalizzano ossa avvizzite, danno voce ad occhi induriti orfani di dolcezza. In mezzo a questo mare di perle, spicca, come unica cima innevata a primavera, una delle più belle canzoni ascoltate in questo 2008: parliamo di “Fast Blood” – che pare essere la continuazione ideale di “Reasons” dei Built To Spill – abbondante folata di vento in faccia, crescendo verticale di opulenza chitarristica, traboccante urgenza che regala attimi di schiettezza impudente e meravigliosa.
Dischi come questo riconciliano con tutto il resto, fanno da stella polare ad un mondo che ha smarrito la bussola.
I Conigli Impauriti tremano d’impaziente attesa nella loro scatola bucherellata: leviamo il coperchio che li opprime e prepariamoci a fare sogni lunghi mille chilometri.

Photo: Barry Mangham, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons