In Berlin by the wall
You were five foot ten inches tall
It was very nice
Candlelight and Dubonnet on ice

We were in a small cafe
You could hear the guitars play
It was very nice
Oh, honey it was paradise

Chi ha vissuto a Berlino, anche per un breve periodo della sua vita, comprenderà  benissimo l’atmosfera descritta da Lou Reed nel suo album. E’ una città  che lascia il segno, indelebile, tangibile.
Eppure non molti allora, nel 1973, avevano capito la poesia malinconica che veniva loro raccontata, con quella tristezza quasi gratuita, intrisa nelle note delle canzoni in un crescendo nichilistico. Il disco fu un flop, anche forse dovuto al precedente “Transformer” che aveva consacrato Lou Reed nello Stardome a suon di ‘dou-doudou-doudou’ di “Walk on the Wild Side”.

La storia di Caroline potrebbe essere narrata in uno di quei film stralunati di Wim Wenders, per il quale Reed ha fatto un cameo in “Così Lontano Così Vicino (Faraway So Close)”. Tra droga, alcool e sesso la vita della giovane è una spirale verso il baratro che la porta al suicidio dopo che le viene sottratta la custodia dei figli per la sua condotta immorale. Intrisa della fragilità  di Brecht e dell’espressionismo di Kurt Weil, la narrazione si sussegue in dieci episodi tutti correlati, in un formato ‘concept’ molto in voga all’epoca.

Qualche anno fa, in Inghilterra e poi anche negli States, è dilagata la moda per alcune band, di suonare e reinterpretare nella scaletta originale i dischi storici. Così nel 2006 Lou Reed riprende in mano Berlin e lo propone al St. Ann’s Warehouse di Brooklyn per cinque serate consecutive, assieme ad un’orchestra di sette elementi ed il Brooklyn Youth Chorus. Ma, nascosto nell’oscurità  c’era Julian Schnabel a riprendere il tutto ed a fissarlo sulla pellicola assieme agli spezzoni della ricostruzione della storia di Caroline, interpretata da Emmanuelle Seigner, in un short film diretto da Lola Schnabel e Alejandro Garmendia.
Un ‘Concert Movie’ a tinte forti, dove prevalgono il verde scuro, il rosso bordeaux, il viola. Il volto scavato di Lou Reed nascosto dietro a degli occhiali invisibili. Alternato a frammenti di vita stravissuta, con una fotografia grossolanamente magistrale.

Ma quanto è struggente “Lady Day”, nel suo essere così prog? Quanto è jazzy “Oh Jim”? Quanto sa di Kurt Weil “Sad Song

Il famoso muro di Berlino non c’è più e al posto della vecchia terra di nessuno c’è uno sfavillante nuovo quartiere disegnato da Renzo Piano, Potsdamer Platz.
Ma a Kreuzberg quell’atmosfera c’è ancora. Per essere perfetto questo concerto andava registrato la, in un piccolo bar dell’ex ‘American Sector’ a sud di Checkpoint Charlie.

Ma Lou Reed la perfezione l’ha sempre osteggiata, la lascia ai “Men Of Good Fortune” .

IMPERFETTO.