Voglio parlare di “Alphabutt” rimandando subito il lettore ad un altro lavoro cioè “Adriana Partimpim” di Adriana Calcanhotto.
Perchè questo riferimento? Innanzitutto, perchè stiamo parlando di musica per bambini di alto livello, in entrambi i casi e, nel caso della Calcanhotto, anche di “spettacolo per bambini di qualità “.

Cos’è che spinge un cantante a incidere un album dedicato all’infanzia? Sicuramente una voglia di rimettersi in discussione, di sperimentare, di sbalordire ma, allo stesso tempo, un’esigenza di ricerca che non deve mai scomparire in un artista.
“Alphabutt” riprende l’estetica anti-folk dei Moldy Peaches e riesce a creare un’atmosfera da ‘asilo nido’, zeppo di rumori di sottofondo, risate di bambini, schiamazzi, che non è affatto fracassona ma stranamente armonica.
Certamente, ci sono differenze stilistiche e di base tra il lavoro della Dawson e quello della Calcanhotto ma l’intento di riprodurre, su disco, un mondo che, spesso nella musica d’autore, viene trascurato è lo stesso. La Dawson, come la Calcanhotto, vuol farci capire che è necessario riacquistare l’ingenuità , la spensieratezza, la libertà  degli infanti per poter vivere meglio. “Adriana Partimpim” e “Alphabutt” vogliono dare vita al Peter Pan che è in ognuno di noi e che, purtroppo, offuschiamo per poter integrarci in una società  che pretende da noi di vivere seguendo determinati schemi e rispettando numerose sovrastrutture. Perchè non possiamo essere impertinenti e scanzonati, come i bambini? Perchè si deve, per forza di cose, crescere ed esser sempre seriosi per poter risultare credibili?
“Alphabutt” è delizioso perchè la Dawson, infischiandosene del mercato e del ‘dover vendere’, ha creato un album ‘fuori dagli schemi’, denso d’amore e passione per la vita da vivere.

Spesso sulle riviste specializzate, nello spazio dedicato alle recensioni, si leggono frasi tipo ‘lavoro sperimentale’ o ‘musica innovativa, di rottura’ e magari, ascoltando quegli album recensiti, ci si trova dinanzi a sterili chitarre urlanti che non hanno nulla di rivoluzionario (che magari urlassero come quelle di Lee Ranaldo dei Sonic Youth o di Masayuki Takayanagi, ma questo è un altro discorso) o dinanzi a giri vuoti di pianoforte creati da pianisti-compositori spacciati per ‘nuovi Mozart‘.
Questo breve sfogo va a corroborare ciò che ora ho da dire su “Alphabutt” di Kimya Dawson e, indirettamente, su “Adriana Partimpim”. Il nuovo album della Dawson si può considerare realmente “alternativo” perchè c’è sostanza, ci sono idee, c’è quella semplicità  (e non semplicismo, attenzione) e quella leggerezza (vedi la prima lezione americana di Italo Calvino) che, purtroppo, sono assenti nella gran parte della produzione discografica mondiale.

Non voglio terminare con un monito ma, ripercorrendo il testo di “Saiba” scritto da Arnaldo Antunes e cantato dalla Calcanhotto, ricordiamoci che tutti siamo stati bambini, da Hitler a Mike Tyson. Quindi, in tutto quel che facciamo, mettiamoci sempre un pizzico di spensieratezza e leggerezza perchè, come insegna la Dawson, questa è la ricetta giusta per poter andare avanti.