L’atmosfera è magica. Fuori piove, di una pioggia insistente ma mai troppo opprimente. Dentro l’Init regna una sorta di surreale calma tensione. Il pubblico è compostissimo e poco rumoroso. Tutto combacia con la musica dei Gregor Samsa (i quali sono stati preceduti dagli onesti ‘emotional post-rockers’ meridionali Il Cielo di Bagdad) presentatisi in sette sul palco. Champ Bennett e la leggiadra Nikki King alle tastiere sono l’uno di fronte all’altra, cantano all’unisono, si contemplano attraverso sguardi profondi, sembrano degli strani amanti, protagonisti di un lungo amplesso platonico.

Calma tensione. Già . I Gregor Samsa allestiscono con la pazienza di antichi artigiani monumentali scenografie sonore, cariche di un nervosismo sottile sottile, eppure così pregne di intimismo e tenerezza. Certamente si tratta di composizioni che non hanno bisogno di particolari gesti atletici per essere eseguite. La calma sembra dominare, però è solo una illusione. è come assistere alla lenta tessitura di enorme vessillo, prodotto con amorevolezza e cura assolute, che poi viene issato nel momento in cui sopraggiungono celestiali tempeste (elettriche) a gonfiarlo. Ogni brano è un atto d’amore nei confronti degli spettatori, come nei confronti della vita”…come nei confronti di ogni singolo astante. Amore. I Gregor Samsa mi fanno pensare a questo sentimento, al suo lento sbocciare, al suo lento svolgersi, ad una sua possibile tragica fine, alla speranza folle che ne può seguire. Un miracolo divino. Un dono dal cielo. Poi l’amara presa di coscienza. Il riconoscimento delle proprie e altrui fragilità . Due bocche sembrano voler baciarsi, eppure sono immobili. Le mani scavano lentamente sui tasti, si inchiodano sugli stessi accordi, ed ecco il commovente crescendo, una freccia scagliata dentro un buco nero, un messaggio d’amore lanciato verso l’infinito e che rimarrà  a galleggiare nell’Ignoto.

Struggenti paesaggi rimasti in attesa di colori mai sopraggiunti accolgono lenti passi felpati che si dirigono verso sorgenti di dolcezza, dalle quali sgorgano però spruzzi di dolente malinconia. In che altro modo descrivere “Even Numbers”, con i suoi pieni, i suoi vuoti, il suo incedere meditabondo e poi le sue esplosioni emotive?

Mai un solo momento di noia è sopraggiunto (nonostante la lunghezza e la lentezza dei brani), mai uno sbadiglio, un segno di cedimento da parte di qualche spettatore. Nè da parte dei musicisti ovviamente. Tutti concentratissimi, diligenti, attentissimi ad ogni dettaglio. Tutti seri. Solo la graziosa ninfa tascabile dai tratti orientali Mia Matsumiya (la violinista della band) ogni tanto sorride, anche se alquanto timidamente.

Mi domando come sarebbe stato un concerto simile all’interno dell’Auditorium”…

Se dunque i dischi dei Gregor vi hanno un po’ annoiato (non è il nostro caso) però qualcosa di buono dentro ce lo avevate visto, allora forse un loro live vi farà  ricredere del tutto.

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