Klaus Schulze è una leggenda della musica elettronica. Klaus Schulze è una persona onesta, che ama quello che fa e che non deve portare occhiali dalla montatura nera rigida solo per darsi un tono da fine millennio. Klaus Schulze è una persona onesta perchè ammette che i Kraftwerk gli hanno fatto vendere più dischi.

A cinque anni dall’ultimo live, il pioniere della musica cosmica -nata da una costola del Kraut Rock (dopo anni ancora ci si meraviglia della bruttezza di questa definizione) e da tanti ammiccamenti a Stockhausen– si è esibito il 18 Luglio 2008 al ‘Night Of The Prog III’ Festival a St. Goarshausen in Germania.
La registrazione di quel live è culminata nel Dvd “Rheingold”, di ispirazione wagneriana, dove la musa Loreley assume le fattezze di Lisa Gerrard. Parlare di Lisa Gerrad senza nominare i Dead Can Dance richiederebbe un inutile quanto fantasioso esercizio di stile. Per i profani: è quella che canta nella colonna sonora del “Gladiatore” di Hans Zimmer.
I due avevano già  collaborato nel cd “Farscape” del 2008.

Sul concerto-performance c’è poco da dire: suoni e ultrasuoni, visioni che hanno a che fare più con uno stato alterato di coscienza che con il semplice apprezzamento di canzoni che, di fatto, non esistono. La scenografia è monopolizzata dalla strumentazione di Schulze, un assemblato di tastiere, sampler e sintetizzatori degno di un’installazione artistica. A ricontestualizzare un complesso sonoro altrimenti made in the Seventies, spunta l’onnipresente mela fluorescente della Apple, l’unico innesto tecnologico in un complesso autenticamente vintage, anni luce dall’estetica modaiola ‘old school’.

La dura lotta del Moog contro il Voyager, la battaglia degli effetti speciali e il soliloquio di un uomo rischiano di prendere seriamente il sopravvento quando arriva lei, che cambia tutto. Quello quello che era freddo e teutonico diventa amplificato, aperto, vivo. Da buona musica spaziale, più che un ascolto complice e rilassato impone un’esperienza immersiva, a tratti stancante. Schulze chiude con un brano francamente bruttino, ma il pubblico, scarno e in adorazione, sembra gradire lo stesso.

La seconda parte del Dvd “Rheingold Live at Loreley” è in parte un making of e in parte un commento a quello che è stato. Le riprese vengono fatte nelle sede di missaggio, i Real Studios in Inghilterra, a un chilometro dallo studio di quell’altro genialoide di Peter Gabriel. Klaus Schulze nel Real World, una specie di bunker d’anteguerra convertito a serra hi-tech e studio di registrazione, somiglia a un maniaco depressivo ai confini dell’umanità . Vieta ai suoi tecnici del suono di editare il live con suoni aggiuntivi, e va in giro a declamare la bellezza del suono reale.

“Rheingold Live At Loreley” non è un Dvd su un concerto, ma sul complesso ideologico dietro un musicista e vale la pena soprattutto per quello. Perchè non capita tutti i giorni di vedere uno come Steven Wilson (Porcupine Tree) a confronto con uno come Klaus Schulze, anche se non è difficile intuire cosa abbiano in comune. L’intervista spazia dall’evoluzione musicale dell’elettronica d’autore al decennio oscurantista degli anni ’80 con la proliferazione del synth in direzione commerciale. Alla fine ne esce fuori un pezzo di una certa storia musicale, fatta di etichette come Island e Virgin prima che venissero risucchiate dal cinismo delle multinazionali.

Poteva uscirne fuori un’operazione algida e intellettuale, da certi salotti, e invece Schulze non ci casca, e si fa le sue belle interviste in pantofole e calzini da pensionato. Perchè è un artista che vuole parlare di quello che fa, di chi è oggi, di chi era vent’anni fa.

Una nota alla alla copertina del Dvd: doveva essere proprio cosi brutta? Tutta la comprensione per l’epicità  della mitologia tedesca, ma sembra il logo di un gruppo amatoriale di musica celtica.