“Heavy Ghost” va ascoltato con grande attenzione, lasciandolo fluire come sfondo non si riesce ad andare oltre lo strisciare di suoni caleidoscopici ed inusuali che lo compongono. E’ come se questa creatura di DM Stith, smembrata delle sue componenti ad una ad una, perdesse ogni significato risultando come un collage difettoso. Ci vuole dedizione ed orecchio per amalgamarne al meglio ogni singolo passaggio e quel che viene fuori è un album spiazzante, geniale nel suo essere dannatamente freak.

Le canzoni strisciano su partiture orchestrali talvolta sghembe, altre più solenni, galleggiando tra intimità  ed oscura fragilità . Il corpo dei brani non è facilmente individuabile, ogni passaggio parte da direzioni diverse che confluiscono, di volta in volta, in un punto di incontro. Il tutto non accade per caso, ma sembra costruito con la sfrontatezza di un piccolo genio che riesce a raffigurarsi come un cappellaio matto del pop d’autore.

Un po’ Antony quando si abbandona a partiture di piano, un po’ Andrew Bird nell’utilizzo delle influenze jazz e di certi suoni fluttuanti e anche quel pizzico di genialità  à  la Sufjan Stevens che conferisce all’album quell’aura di inafferrabilità  a suo modo unica. Un disco morbido, di difficile cifratura, in cui le melodie sono solamente accennate. Tutto il resto è un flusso di fascinazioni sublimi e soffuse che emergono quando attorno a chi le ascoltà  vige il silenzio assoluto.

Credit: Uncensored Interview (CC BY-NC 2.0)