Dopo tanti tentativi, alla fine c’è riuscita la Dreamworks.
Però se ci si pensa bene, non c’era da nutrire molti dubbi riguardo a questo finale.
Il 3D covava da anni sotto la cenere, alla disperata ricerca di una consacrazione, di qualcosa o di qualcuno che gli trovasse una vera dimensione all’interno del cinema contemporaneo: nuova prospettiva dell’intrattenimento, oppure trovata da baraccone, mossa disperata per salvare il buio della sala dall’attacco di Emule e della tv via satellite?

I precedenti esempi di utilizzo sembravano dare ragione alla seconda ipotesi, e decretare una rapida fine del mezzo, così come era avvenuto negli anni cinquanta, appena esaurito un entusiasmo dovuto all’esotismo della novità , piuttosto che ad una concreta modifica del linguaggio.
Gli anni cinquanta sono appunto il vero colpo fortunato della Dreamworks, che in questo modo è riuscita a contestualizzare il 3D, e a definirne uno sviluppo possibile. Il programma del suo ultimo film è quello di proporre insieme l’animazione digitale come sguardo verso il futuro, e un legame con la pre-fantascienza cinematografica capace di saldare la nuova tecnologia al suo passato e alle sue fascinazioni originarie: se gli alieni rimandano ad un immaginario che già  Tim Burton aveva glorificato in “Mars Attacks!”, la scelta dei mostri è invece l’esempio migliore per chiarire la parentela.

Una donna gigante come in “Attack of the 50 Feet Woman”, un uomo scarafaggio come ne “L’Esperimento Del Dr.K”, un uomo-pesce come ne Il mostro della laguna nera, e una creatura gelatinosa come in “The Blob”. Quando il generale dell’esercito li presenta al Presidente degli Stati Uniti – un politico, e quindi un buono a nulla, che ha cercato di comunicare con gli alieni suonando il tema di Incontri ravvicinati del terzo tipo – utilizzando dei filmati di repertorio, le immagini assomigliano a vecchi trailer della Universal, e nessuno riesce ad impedire la scena topica della segretaria che alla loro vista caccia fuori un urlo teatrale.
Di più, la strategia paga perchè il gioco degli sceneggiatori (il divertimento nel costruire la storia si respira in ogni inquadratura, ed è piuttosto contagioso) si presta bene alla poetica della Dreamworks: non più orchi od animali impacciati, ma veri e propri scherzi di natura, degenerazioni radioattive, anelli mancanti della catena evolutiva, in una radicalizzazione del tema caro dell’affermazione sociale attaverso l’accettazione positiva della propria diversità .

Tra il citazionismo sfacciato e solenni giuramenti di fedeltà  alla propria natura – per ogni cosa c’è il proprio posto, anche per una gigantesca larva che all’inizio del film attacca Tokyo e si scopre più alta dei grattacieli – si ha la sensazione, per la prima volta da quando il 3D si è riaffacciato sullo schermo, che il suo uso sia incidentale, e non sia l’origine necessaria dell’intreccio.
Cioè, che non sia il film a mettersi al suo servizio, come pura esibizione o campionario delle sue potenzialità , ma che sia vero il contrario: che sia il 3D a mettersi al servizio del film. Così, in un omaggio anche ai serial giapponesi, Mostri contro alieni si può permettere un fantastico inseguimento a San Francisco, la città  che con i suoi sali e scendi è la più adatta ai pedinamenti in automobile, in cui i due protagonisti distruggono interi palazzi e la poderosa Ginormica può scorazzare tra i pendii della città  usando due macchine come pattini.
Se i termini sono questi, la terza dimensione e gli occhialetti hanno un futuro garantito.

Locandina
Regia: Rob Letterman e Conrad Vernon
Sceneggiatura: Maya Forbes, Wallace Wolodarsky e Rob Letterman
Montaggio: Joyce Arrastia e Eric Dapkewicz
Origine: USA, 2009
Durata: 94′

TRAILER: