A Luca.
Sarà  il caldo. Sarà  questa libertà  vuota che scivola via come risate a tarda sera senza che si sappia bene cosa farsene. O forse sarà  quel “‘Bacio Perugina’ scaduto mangiato ieri notte, ma io ne sono certo: il soffitto viene giù lento e regolare e tra poco verrò inghiottito impietosamente. Fuori nessuno s’accorge di niente: il fruttivendolo urla la freschezza delle sue mele finte, una vecchia arranca dietro ad un cane bizzoso malinconicamente guinzagliato. Il fatto è che mi rimane poco tempo prima che vengano a prendermi. Respirare, respirare, respirare: dicono che funzioni.

Devo essere veloce, sudare e credere in una storia. Un po’ come ha fatto Ben Harper, ora che si è reinventato una vita artistica decidendo in un sol colpo di: 1) buttare a mare gli Innocent Criminals; 2) alzare finalmente il volume degli amplificatori; 3) puntare tutto su un gruppo di bollenti rockers texani conosciuti nella maniera più incredibile e rocambolesca possibile. Sì, perchè la tua vita può cambiare se fai l’autista di un tour bus e con tutto il coraggio messo da parte fino a quel momento chiedi alla star di dare un ascolto ad un tuo demo. Va a finire che dieci anni dopo ti ritrovi a dividere il palco proprio con quella star ed a firmare autografi a destra e a sinistra. Se l’American Dream esiste ancora, Jason Mozersky, leader dei Relentless7, gli ha dato indubbiamente un bel morso.

E lo senti dalla virulenza schiettamente rock’n’roll della prima metà  del disco, un viaggio supersonico tra blues in accelerazione cosmica, bruciori soul e bordate southern che scaraventano l’ascoltatore dritto dritto tra le grinfie dell’aria satura del pub più affollato della città . Note massicce, scolpite nella quercia e temperate nel sacro fuoco dell’elettricità  senza mezze misure galleggiano, ammaliano e si infrangono nel valore aggiunto di qualsiasi produzione del rocker di Claremont: la sua voce unica, caleidoscopio di cinquant’anni di musica americana, crocevia della tradizione che si tuffa nel futuro.

C’è fame che si fa largo inferocita, ci sono chitarre che s’avviluppano incandescenti in una notte afosa d’estate, c’è sudore che scorre via tra corpi mai sazi, c’è vita che sbatte come trote appena pescate in “White Lies For Dark Times”. Harper incita le corde delle sue chitarre Asher a cercare la via di fuga dalla staticità  delle ultime uscite con gli Innocent Criminals e, spinto dalla indemoniata sezione ritmica guidata dalla rutilante batteria di Jordan Richardson – inspessita dal focoso basso di Jesse Ingals – , solca il terreno con una gioia di suonare che sembrava persa. Un uragano di puro divertimento soffia tra i solchi polverosi di quest’album e così qualsiasi strada da percorrere con queste canzoni come colonna sonora diventa terreno di conquista e rinascita.

E siccome Ben ci tiene a che i suoi ascoltatori dondolino in dolci ballate immerse nel fulgido crepuscolo californiano, diligentemente sforna una paio di pezzi da vero sentimentale qual è, imprimendo così un marchio di fabbrica riconoscibilissimo, fino a cesellare un movimento lento ““ “The Word Suicide” – intriso di quella spiritualità  così viva negli esordi, che qui gareggia in bellezza nell’intenso colloquio tra la sua chitarra e quella di Mozersky.
Se l’unica cosa che restituisce verità  in questo mondo collassato è il sudore, allora qua dentro state sicuri di trovare qualcosa in cui credere, che difficilmente vi fregherà  come hanno fatto in tanti alla ricerca di un facile ingrasso e che vi restituirà  con gli interessi il tempo che gli dedicherete.
Ed ora vi abbandono. Stanno sfondando la porta. Sono venuti a prendermi.

Cover Album

White Lies For Dark Times
[ Virgin – 2009 ]
Similar Artist: Jon Spencer Blues Explosion, Jimi Hendrix, The Black Keys, Black Crowes
Rating:
1. Number With No Name
2. Up To You Now
3. Shimmer And Shine
4. Lay There And Hate Me
5. Why Must You Always Dress In Black
6. Skin Thin
7. Fly One Time
8. Keep It Together (So I Can Fall Apart)
9. Boots Like These
10. The Word Suicide
11. Faithfully Remain