Allen Ginsberg, 1956: Non serve scrivere quando il tuo spirito non guida.
Ho sempre pensato che se tutti gli artisti avessero prestato fede a questo motto ci saremmo risparmiati un sacco di musica e di letteratura inutile. Un sacco di opere penalizzate dalla patina grigiastra della mancanza di ispirazione o peggio, dell’arcigna legge del mercato. Oggi se non ti replichi con un tasso costante il tuo produttore non sa che farsene di te. Anche se non hai niente da dire. Anche se il tuo produttore si chiama Nick Launey e sul suo curriculm vitae vanta nomi come Yeah Yeah Yeahs e Grinderman. Dev’essere la legge dell’ ‘album ogni due anni’, altrimenti non so spiegarmi cosa è successo ai Maximo Park, e perchè non hanno aspettato un po’ di più per portare “Quicken The Heart” dove meritava di arrivare.

Per me i Maximo Park sono sempre stati una questione di testi. Paul Smith, con quel suo nome da uomo qualunque nonostante l’aria da mattatore demenziale, così sghembo e intelligente e a tratti ruffiano (vedi “Russian Literature”), ha prodotto tra i testi più interessanti del rock inglese degli ultimi anni. Che la musica di sfondo in alcuni casi fosse davvero brillante ha sicuramente aiutato l’operazione, ma per me erano essenzialmente una band di testi. O di letteratura, se vuoi. Perchè “Our Velocity” faceva idealmente il verso a “You Shall Know Our Velocity” di Dave Eggers, e “Book Of Boxes” era una canzone sulla metafisica dei rapporti destinati a fallire degna di una short story carveriana.

Oppure ” The Coast Is Always Changing”. Oppure “Acrobat”. Cose degne di questo nome, eredi ideali di quanto avevano già  fatto e detto gli Smiths e i R.E.M in tempi migliori.

Ho cercato qualcosa di simile in “Quicken The Heart”, prestandomi a fallire. Certo, “The Kids Are Sick Again” e i suburb screams and toothpaste smiles ci provano comunque, salvandosi sul finale, ma non è la stessa cosa. Certo, c’è ” I Haven’t Seen Her in Ages” che si propone come un’escalation intimista, una citazione colta in mezzo, ma i toni suonano semplicemente sbagliati. O forse la stretta familiare sulle note di
“Questing Not Coasting”, ma ormai sono anemica e non si danno buoni giudizi in carenza di sangue. Si rischia di confondere una cosa banale per un’emozione. Così ho capito che quello che mi aveva fatto amare i Maximo Park prima è proprio quello che loro si rifiutano di fare adesso. Loro adesso vogliono suonare “The Penultimate Clinch”, che è un passo verso il groove, o verso la new wave a modo loro. Vogliono suonare ” Overland, West of Suez”, che basta a farmi capire che se continuano così io un altro cd dei Maximo Park non lo posso comprare.

Al titolo ” Roller Disco Dreams” ho fatto una smorfia, sentivo la minaccia nell’aria, presagendo pattini a rotelle e luci stroboscopiche anni ’80, facendomi sorprendere invece da versi cupi (Onto fireworks in Brixton/Two carousel hearts spinning/If it’s a grower/Why can’t we take things slower?). Strano, sembra di sentire i Maximo Park che fanno il verso ai Maximo Park di due anni fa. Una band forse troppo giovane per darsi al citazionismo di se stessa.

Alla fine credo che “Quicken The Heart” sia un album dedicato ai sintetizzatori che non ci hanno salvato. Credo che Paul Smith resterà  sempre una spanna sopra ai ragazzini che sgomitano per arrivare nelle prime file, ma chissà  ancora per quanto. I Maximo Park sono assolti, ma con la fedina penale inevitabilmente ingiallita. Che la prossima volta scrivano una canzone su questo.