GRANDE SCENE: NOISETTES, EBONY BONES, BILLY TALENT, THE OFFSPRING, FAITH NO MORE
SCENE DE LA CASCADE: KITTY DAISY AND LEWIS, THE ASTEROIDS GALAXY TOUR, DANANANANAYKROYD, THE HORRORS, CALVIN HARRIS, BIRDY NAM NAM
SCENE DE L’INDUSTRIE: CHEVEU, JIL IS LUCKY, L’ANGLE MORT – ZONE LIBRE VS CASEY & B.JAMES, YANN TIERSEN, SCHOOL OF SEVEN BELLS

A volte si arriva all’appuntamento con la storia con un lieve ritardo e quando questo succede non resta che contemplare le macerie, scavare tra i detriti e smuovere la polvere del tempo per rinvenire anche solo un lembo di memoria o di una sua appendice. A volte. Puó capitare invece di fare tardi e vedere che, dopotutto, forse è meglio cosà­ in quanto, in fin dei conti, la vita continua e lo fa col piglio testardo che tutti conosciamo. Ventiquattr’ore fa da queste parti sono passati gli Oasis e si sono liquefatti come neve al sole.
Qualcuno dice che l’hanno fatto con almeno un lustro di ritardo e non sta a me contraddirli ma quello che conta è che questa sera dei mancuniani importi davvero poco alla folla che si è radunata sulle rive della Senna tra i giardini ideati da Le Nà´tre per un festival al sesto anno di vita ma con un curriculum di tutto rispetto.

Si potrebbe iniziare parlando dei Dananananaykroyd e si andrebbe sul sicuro descrivendo come sia inusuale ma efficace il verbo fugaziano se applicato alle geometrie sbilenche dei Pavement in un contesto pop. L’ottimo “Hey Everyone !” ha creato un’attesa che gli scozzesi affrontano con inaspettato mestiere suonando letteralmente per intero l’album di debutto. Pochi sembrano far caso ai movimenti innaturali del batterista John Baillie Junior al quale è stato tolto il gesso al gomito del braccio destro da pochi giorni e se ció avviene è per merito di brani come “Pink Sabbath” e “Black Wax” e dell’enorme spinta emotiva che questi generano.

Giunge poi il momento di sbirciare i Billy Talent sul palco principale per apprezzarne la maturitá acquisita nell’arco di una carriera quasi ventennale e si torna ad alzare il ritmo con piccole perle come “Living In The Shadows” e l’immancabile “Devil In A Midnight Mass”. Il pubblico inscena un abbozzo di mosh-pit e i quattro canadesi ringraziano servendo una versione se possibile ancora piຠtirata di “Fallen Leaves”. I Billy Talent dal vivo sono una garanzia. Punto.

Cosa che non è sempre vera se si parla dei The Horrors. Sará quel loro genere ibrido che dal vivo fatica a trovare una collocazione emotiva, sará forse che per una band cosà­ giovane è sempre difficile affrontare l’hype dal quale si viene investiti dai numeri di vendite sempre crescenti. Quello che è certo è che dal vivo gli Horrors appaiono come sulla copertina del loro ultimo “Primary Colours”: fuori fuoco. Da rivedere quando lo tsunami promozionale sará diventato un normalissimo fiume.

Qualcuno dica invece a Yann Tiersen che il post-rock è giá stato inventato. Il compositore francese, a casa da questo lato della linea Maginot è sempre piຠMogwai e sempre meno Bacharach. Le ragioni di tale metamorfosi risiedono tra le metriche che dal vivo sono dilatate all’inverosimile, dal continuo rifugiarsi nelle dinamiche quiete/distorsione che man mano perdono un appeal giá ampiamente sfruttato da generazioni di shoegazers. Eppure “Plus D’Hiver” (senza Jane Birkin), “L’Absente” hanno presa facile su un pubblico sul quale splendono gli ultimi raggi di sole della giornata. In poche parole: tutto funziona ma rischiare qualcosa regalerebbe di sicuro qualche emozione in piàº.

Mi perdo volentieri il set di Calvin Harris e lo faccio anche a causa di un singolo (“I Created Disco”) orrendo e fuori luogo come i jeans attillati della folla dinanzi al palco “De La Cascade”. Sullo stage maggiore intanto stanno per terminare il loro set gli Offspring e la sola menzione della band vale una recensione. Cosa aspettarsi da un pugno di simil-punk che vanno per la quarantina ? Quello. Esatto.
Ed è per quello che mi siedo e aspetto che la folla defluisca per consumare un pasto, che la polvere si posi dopo il loro passaggio e che la luna prenda definitivamente il posto di un sole caldo e ormai inopportuno.

Reunited, and it feels so good / Reunited, ‘cause we understood / Therès one perfect fit / And, sugar, this one is it / We both are so excited / ‘Cause wère reunited / Hey, hey
Eccessivamente pacchiana ma vera. Una cover che ha il senso sbagliato delle luci al neon di un motel di terz’ordine, delle polaroid scattate per sbaglio e dell’acqua al mandarino venduta qualche metro piຠin lá.
Eppure il sapore è buono e non potrebbe essere altrimenti quando “From Out Of Nowhere” colpisce senza preavviso, “Be Aggressive” è un coro cantato all’unisono e l’occasione per riprendere fiato è concessa solo dopo “Caffeine”. Si fa l’appello di chi era con noi e finalmente ci si rende conto che i Faith No More dopotutto non se ne erano mai andati. Troppe band (dal metal all’hardcore passando per l’indie e l’hip hop) devono qualcosa alle metriche percussive di Mike Bordin o alle tastiere di Roddy Bottum. Non si contano piຠi cloni di Mike Patton cosà­ come sono innumerevoli i tentativi dell’eclettico vocalist di prendere le distanze dalla schiera di imitatori piຠo meno volontari che trovano spazio nelle chart di qualsiasi tipo.

Gay gay Paris! I don’t speak a word of French, so I’ll speak Italian!. à‰ cosà­ che parte “Evidence” (o “Evidenza”…) e da qui ricomincia il ciclo temporale che riporta ai tempi del primo crossover (“Surprise! yoàºre dead !”, “Epic”), delle atmosfere cupe del capolavoro “Angel Dust” (“Midlife Crisis” e “Easy” su tutte) fino all’odioso gospel di “Just A Man”.
Il percorso prosegue sul bis piຠstrampalato della loro produzione con “Midnight Cowboy”, “Chariots of fire” / “Stripsearch” e il cerchio si chiude con una “We Care A Lot” dai toni quasi punk.

Sono quasi le 23 quando le luci si riaccendono e il ponte sulla Senna si popola di uno sciame di persone scortato da poliziotti in completa tenuta anti-sommossa. Anche questo ha il senso sbagliato delle cose fuori misura e chiude la seconda giornata di un festival che ieri non ha visto gli Oasis anche se pochi al momento sembrano farci poi molto caso.

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