OUTDOOR (ELEFANT) STAGE: MODULAR, ROSE ELINOR DOUGALL, AU REVOIR SIMONE
DJs SETS AFTER THE BANDS: P!O!P KOMBINAT BERLIN, LIPSTICK ON YOUR COLLAR

Da dove sono seduto la collina inizia a scendere, un declivio un poco ripido che va giù per qualche metro e si ferma su uno spiazzo largo, di nuovo in piano. Davanti si apre il palco principale del festival, chiuso sul fondo dal grande logo con l’elefante rosa della Elephant Records. L’etichetta spagnola dedita alla diffusione di ottima musica indiepop festeggia in questo 2009 vent’anni di vita, e per l’occasione è arrivata fin quassù, nell’inglesissimo Derbyshire, con al seguito non pochi rappresentanti della propria scuderia. Lo spazio davanti al palco, fino alla cima della piccola collina, è occupato dal pubblico. Una folla piccola, non fitta, rilassata, attenta e divertita. Molti, come me, sono in alto seduti sull’erba. La luce ha già  cominciato a scendere, il tramonto non tarderà  ancora molto. E’ stata una giornata di sole, azzurra e verde e tiepida. Solo qualche nuvola bianca a macchiare il cielo. Stanno suonando i Camera Obscura. Sono arrivato a set già  iniziato, reduce dal miglior concerto del festival, sul palco al coperto, ancora stordito dall’entusiasmo, dalle grida, dagli applausi e dalle canzoni. Ho sceso la collina, fatto qualche foto, visto un paio di brani dalla prima fila, poi sono risalito fino in cima, mi sono seduto. Stanno suonando “James”, una ballata triste dal loro ultimo “My Maudlin Career”. Una delle mie tracce preferite. Suonano composti, sicuri, senza regalare molto allo spettacolo. Lasciano andare la musica, non chiedono altro. Mi guardo alle spalle, per un attimo: il prato prosegue verde, altre persone sedute sull’erba, famiglie con bambini piccoli al seguito, gruppi di amici attrezzati con coperte che consumano un pic-nic. Più in là , la tenda con i banchetti, qualche stand di cibarie e la piccola chiesa. La canzone sta per finire, il sole si avvicina alla linea dell’orizzonte. Sui binari, poco lontano, passa un treno a vapore. Un fischio sorridente e dal comignolo della locomotiva si libera una nuvola grigia. Il treno continua la sua corsa. Il fumo prova a seguirlo, ma non è così veloce.

E’ la terza edizione dell’Indietracks festival, raduno a base di indiepop nato per sostenere il Midland Railway Centre: un museo a cielo aperto che restaura e tiene in vita la vecchia linea ferroviaria delle Midlands. Siamo 230 chilometri a nord di Londra, dalle parti di Nottingham e, ovviamente, di Derby. Non troppo lontano da Sheffield, nè da Manchester. Per arrivare al festival la via più semplice è abbandonare la macchina alla piccola stazione di Butterlay, a due passi da Ripley, entrare, raggiungere i binari e aspettare il primo treno. Alcuni viaggiano a gasolio, altri, i più vecchi, montano locomotive a vapore che sbuffano e fischiano come fossero sul set di un film in costume. A controllare treni, scambi e binari sono i volontari del museo: anziani signori inglesi con l’aria precisa dei ferrovieri in pensione, capelli bianchi, occhialini tondi e il sorriso di chi ha trovato l’hobby perfetto per passare il tempo in questa regione di boschi, di campi e di cavalli. Il viaggio dura pochi minuti e si conclude alla stazione di Swanwick. Lì si apre lo spazio che ospita l’Indietracks. In fondo a una larga sterrata, sulla sinistra, c’è il palco coperto: un vecchio deposito per locomotive e carrozze con ancora i binari che tagliano il cemento del pavimento. L’acustica non è di casa, ma un ampio spazio per il merchandising, una vasta selezione di birre alla spina e un riparo sicuro in caso di pioggia sono garantiti. Dalla parte opposta, sul fondo della collinetta c’è l’Elephant Stage, il palco all’aperto pensato e co-gestito dall’etichetta spagnola. Il terzo palco, decisamente più ridotto, è a metà  strada tra gli altri due, dentro una piccola chiesa, anch’essa parte del museo.

La prima giornata, venerdì, è di riscaldamento, una sorta di anteprima, una festa di apertura. Solo tre concerti in programma, dalle 6 del pomeriggio, tutti nel palco all’aperto. Un po’ di nuvole in cielo, serata tiepida, ancora non molte le persone arrivate. I primi a suonare sono i Modular, band argentina di casa Elephant Records. L’etichetta spagnola si è spesa parecchio per festeggiare al meglio il suo ventennale e sembra giusto che sia proprio uno dei suoi gruppi ad aprire questo Indietracks 2009. Psichedelia, sintetizzatori, suoni filtrati e una forte impronta pop è quello che i Modular portano sul palco. La presenza centrale sono gli anni ’60: l’idea della band argentina è costruire un ponte tra le atmosfere spaziali della fine di quel decennio è l’esplosione pop che ne aveva riempito i primi anni. Il risultato è curioso ma dopo poco inizia a farsi ripetitivo e ci si distrae presto a fissare il pubblico accorso fin qua: età  media sulla trentina, non pochi con famiglia al seguito, tutti ben decisi ad approfittare dell’atmosfera insolita e godersi il fine settimana di musica.

Il secondo nome in programma per la serata è quello di Rose Elinor Dougall. La ragazza inglese è conosciuta più che altro per essere stata una delle Pipettes, il girl group philspectoriano che ha fatto molto parlare di sè con il suo album d’esordio un paio di anni fa. Rose era quella mora delle tre. Abbandonate le Pipettes si è dedicata a una carriera solista, concretizzatasi ad oggi in un singolo niente male. Si presenta con una backing band al completo ed è subito chiaro che delle atmosfere del vecchio gruppo è rimasto poco o niente. Abbandonati i vestitini a pois, l’impatto è decisamente rock. Vengono in mente i Cure meno depressi o una versione un po’ più luminosa di Siouxsie And The Banshees. Non sono canzoni semplici, niente coretti o ritornelli orecchiabili, ma in qualche modo colpiscono e sono capaci di attirare l’attenzione. La voce di Rose, ferma e penetrante, non è cambiata e contribuisce non poco a rendere interessante il risultato finale. Si attende l’album d’esordio con curiosità  e ottimismo.

A chiudere questa piccola festa d’inizio Indietracks sono le Au Revoir Simone. Le tre ragazze newyorkesi, dietro le loro tastiere, sono come sempre in gran forma. Ampio spazio ai brani del loro ultimo, ottimo “Still Night, Still Light”, con qualche scelta dai due album precedenti. Il loro pop sintetico e delicato esce sicuro dagli amplificatori ai lati del palco. Le Au Revoir Simone stanno bene quando suonano, si divertono: il palco è ormai il loro ambiente naturale. Scherzano, accennano passi di danza e battimani, raccontano storie, si prendono in giro. E’ sera e tutti sono radunati qui davanti, come rapiti. Nient’altro intorno.

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