Chiariamo subito una cosa: i Ronin ci hanno regalato il miglior disco di musica italiana di questo 2009 giunto al suo ultimo quarto. Chiariamone un’altra: non c’è traccia di pop italiano, non c’è traccia di voci, questo è un disco strumentale. Nei negozi di dischi potrebbe finire anche nella sezione colonne sonore, anche se non esiste nessun film che ne accompagni i brani. Un nome su tutti: Ennio Morricone. Un album che è un viaggio polveroso e caldo attraserso le lande desolate del vecchio west americano, in cui l’anima attraversa numerosi stadi di tensione emotiva ed è sempre pronta ad esplodere in adrenalinico furore. Echi di surf e scottature da sole ardente. Strade bruciate dal tempo e orizzonti sfocati, acqua come beffardo miraggio consolatorio.

Le note di chitarra si sciolgono dell’alcool, strati di pensieri ubriachi si sovrappingono al rullante della batteria e dalle profonde note di basso. E’ come se ogni brano costruisse un quadro di insieme che sfuma di volta in volta in atmosfere dai colori caldi, intervallati da un’oscurità  sempre incombente, ma lungi dall’infliggere angoscia. E’ culla di tormenti interiori, che come piante rampicanti si aggrovigliano alle nostre sensazioni. Una goccia di sudore si infrange sul pavimento con impercettibile rumore, immobile resta ferma per pochi secondi per poi svanire in un brivido di vapore acqueo. Non c’è spazio per il verde, il bianco è il blu, tutto assume i contorni lividi di una notte a lume di candela, con la luna alta in cielo e un fuoco acceso sulla collina. Fantasmi e un coyote che ulula. Un disco che costruisce vivi frammenti con la nostra immaginazione, che scalda le giornate e rende la notte perfetta, tesa, fatta di paura sottile e strisciante che ti coglie nel sonno.
Nessun incubo, soltanto il lento cullarsi nel’ineluttabilità  della penombra.

Per chi non sente la necessità  di redimersi da niente, che non annega nel rimpianto e che brucia al solo pensiero che la notta possa finire appena dopo l’alba. Come sempre.

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L’Ultimo Re
[ Ghost – 2009 ]
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