Quando si è tanto amato un gruppo e lo si è seguito con attenzione e piacere lungo gli anni, disco dopo disco, lo scioglimento arriva sempre inaspettato e con dispiacere. Tanto più se la qualità  dei dischi si è sempre mantenuta su buoni livelli e se i componenti del gruppo affermano di averne deciso la “morte” non per contrasti interni ma per mancato riscontro da parte del pubblico…ignorati, insomma, nonostante la critica avesse sempre accolto bene le loro uscite.

Così, quando nel 2006, dopo “Ten Years Of Tears”, Aidan Moffat e Malcolm Middleton hanno deciso di prendere strade separate, un po’ di sconforto mi è venuto.
Poi ci sono stati vari dischi, due per Aidan e cinque per Malcolm, a riempire un po’ quel vuoto, in modo diverso, però, con suoni che si sono distaccati spesso da quelli della ragione sociale di origine.
Ora Malcolm Middleton è in tour a presentare la sua ultima fatica, “Waxing Gibbous” , una ‘luna calante’ che lo vede ancora una volta intento a raccontarci storie intime, di amori giunti al capolinea. La data alla Casa 139 di Milano è l’unica che concede all’Italia, e non si può dire che il locale si sia presentato particolarmente affollato, nonostante questo particolare.
Pubblico non numeroso ma attento, silenzioso nell’ascoltare le ballate dell’artista scozzese, salito sul palco assieme ad altri tre musicisti, tra i quali “the Pictish Trail”, che lo ha preceduto con un breve set di pezzi lo-fi anche piacevoli.

L’ultimo disco è percorso da un maggiore impatto elettrico rispetto ai precedenti, più energia per ballate e cavalcate elettriche, che hanno in parte smussato i toni grigi e mesti prevalenti nei lavori anteriori. Il concerto, però, ha dovuto aspettare quasi la metà  prima di concedersi un po’ di brio per levarsi di dosso un clima dolente e a tratti monocorde. E finalmente anche il calore del pubblico si è manifestato attraverso applausi prolungati e qualche titolo gridato per canzoni desiderate. Malcolm si dimostra attento, scambia qualche battuta con la platea, rimanendo sempre fedele al suo personaggio dimesso e un po’ ‘proletario’…pochi sorrisi, certamente, ma molta concentrazione e trasporto nelle canzoni presentate, quasi piccole pagine di un diario personale raccontate ad un gruppo di amici, proposte con cuore e senza parafrasi. Diretto nel linguaggio e nelle immagini presentate, come sempre…

Alla fine, con un tris di brani presentati solo con chitarra acustica, cerca persino di farci sorridere, e l’ultima storia is supposed to be funny, ci dice, quando si accorge che nessuno reagisce come lui vorrebbe…incompreso, come sempre insomma, persino dal suo pubblico di amici e ammiratori…

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