Uno dei piccoli incubi di questi anni zero è quello di vedere il termine “‘emo’ accostato a quei ragazzini dalla frangetta improbabile, dall’abbigliamento dark, che ascoltano pseudo-rock da checche isteriche. I telegiornali, nei loro servizi spazzatura ci propinano la rivalità  tra gli emo e i truzzi (che non ho ancora ben capito chi siano e cosa vogliano), tanto che viene quasi voglia di rimpiangere la faida tra punk e paninari, anche se ho sempre preferito un sano Goldrake contro Mazinga di fanciullesca memoria. Eppure, musicalmente parlando, poco più di dieci anni fa la situazione era radicalmente diversa. I tempi cambiano, non sempre in meglio.

La Sub Pop ha pensato bene di rinfrancarci ripubblicando in queste settimane i primi due dischi dei Sunny Day Real Estate, tra i principali esponenti dell’ondata di emo-rock degli anni ’90, un po’ più addolcita rispetto al movimento del decennio antecedente. Una propensione maggiore alla melodia pop-punk ne delineò i contorni assieme alla componente lirica piena di pathos. E così nacquero esplosioni rock cariche di potenza, caratterizzata da brani molto spesso in crescendo che, dai toni smorzati delle prime battute, finivano ad imbuto in fragore elettrico e parole urlate a squarciagola. Come dare un calcio in culo ai tormenti interiori.

Dei due dischi merita attenzione soprattutto l’esordio “Diary”, impeccabile raccolta di canzoni ed emozioni che, ancora oggi, si fa ascoltare tutta d’un fiato come un lunghissimo urlo liberatorio. La difficile gestazione del secondo disco omonimo, poi re-intitolato “LP2”, che vide la band sciogliersi una prima volta a causa della presunta conversione al cristianesimo del canatante Jeremy Enigk, ha in parte minato la coesione della scaletta e la qualità  finale del prodotto, comunque più che buono. In seguito la band si riformò nel 1998 e dopo altri due dischi ed un live pare essersi definitivamente sciolta nel 2000. Proprio come tutta quella scena che fortunatamente possiamo ancora rivivere grazie ad operazioni di ripescaggio come questa della Sub Pop, etichetta con cui la band stessa preferì interrompere i rapporti nel 1999 a causa di incomprensioni a seguito live pubblicato.

Una piccola e sofferta storia che somiglia tanto alla musica che la band ci ha regalato. Due capitoli, se non indispensabili, sicuramente specchio fedele di un movimento rock che oggi è stato trasformato in qualcosa di più ampio e allo stesso tempo privato di contenuti. Come tante, troppe cose che la nostra società  lobotomizzata dalla tv tende a catalogare e a svuotare di ogni significato.