Non me ne vogliano i fans se continuo a considerare i Camera Obscura come dei fratellini piccoli dei Belle & Sebastian, partiti dall’amore, sicuramente sincero, per le atmosfere create ad arte dal gruppo di Stuart Murdoch agli inizi, ma incapaci di avere le intuizioni e l’inventiva che i fratelli maggiori hanno dispiegato per anni e per numerosi dischi, e che li ha portati a seguire sempre direzioni diverse, con instancabile voglia di sperimentare e cambiare. Non sono riusciti a fare altrettanto, Tracyanne Campbell e compagni, nell’arco di cinque dischi e una dozzina di anni di carriera, anche se certamente sono arrivati a distillare quel suono, che li ha caratterizzati sin dall’esordio, in un piccolo formato che può dirsi perfetto.

Detto ciò, il concerto che il gruppo scozzese, giunto per la prima volta in Italia, ci ha regalato il 14 ottobre, ha dimostrato pregi e limiti del sestetto di Glasgow, confermando quindi in pieno la facoltà  seducente della voce della sua leader, a tutti gli effetti ormai unica cantante, capace di dolcezza e leggerezza costanti, ma senza risultare mai stucchevole. Poche o inesistenti però le trasgressioni alla regola, sia nella riproposizione fedele, fin troppo, alla versione di studio dei brani, come non volessero, sicuramente per scelta, arricchire la proposta dal vivo con qualche improvvisazione, sia nella uniformità  della proposta, come è risultata dalla scaletta, che anche dal vivo si attiene alla dimensione complessiva dei loro lavori.
Prendiamoli così, allora, totalmente british nel look e nei modi, come fossero appena usciti dai loro uffici, entrati nel primo pub dietro l’angolo e subito saliti sul palco, per intonare, imbracciati gli strumenti e provati i microfoni, tutte le canzoni del loro immaginario romantico e agrodolce.

Partenza rilassata, si direbbe, ancora impacciati e meravigliati, forse, per la calorosa presenza di pubblico, che è arrivato numeroso e ha riempito i piccoli spazi della Casa 139, nonostante la settimana prevedesse, per Milano, un susseguirsi di concerti almeno sulla carta più che interessanti, facendo seguire il loro con quello di Florence + The Machine, due giorni dopo, e quello degli XX, con lo stesso intervallo. Nonostante ciò, appunto, il locale si è presentato affollato, prestando quindi il giusto tributo a uno dei gruppi più amati dal compianto John Peel.
E si può capire il motivo, perchè, dopo alcuni brani dal tono lieve e delicato, verso la metà  è finalmente scomparso il classico aplomb britannico e la serata ha incominciato a scaldarsi, grazie ai ritmi più decisi ed alla melodie accattivanti di pezzi come “The Sweetest Thing” e “French Navy”, tratte dall’ultimo album, il buon “My Mauldin Career”, o “Come Back Margareth” e “Let’s Get Out Of This Country”, del precedente disco del 2006.

Allora Tracyanne ha incominciato a scherzare, a decantare lodi all’Italia e soprattutto al suo Martini, che non vedeva l’ora di andarsi a gustare al termine del concerto, nonostante ne avesse chiesto e ottenuto un piccolo anticipo durante l’esibizione. Così l’atmosfera, calda già  in partenza per la quantità  di persone presenti sul palco e sotto lo stesso, è diventata intima, proprio per la capacità  dei Camera Obscura di non presentarsi come Artisti, con la a maiuscola, su un piedistallo lontano dal pubblico, ma quasi fossero anche loro altri avventori di quel pub, dove artisti in erba si lanciano a provare i primi vagiti canori per partire, se ne possiedono le capacità , verso altri lidi e platee.

Non loro, per ora, toccati sì dal successo, ma timorosi di allontanarsi troppo dall’immaginario da cui hanno preso le mosse, come fossero a loro agio solo in questi spazi e con questi suoni, ormai conosciuti ed esplorati con attenzione. Li attendiamo fuori dal pub, allora, magari all’angolo di qualche strada, dove la perfezione del loro impasto sonoro potrebbe perdersi e sporcarsi, spingendoli ad esplorare nuove direzioni.