“Lo Spazio Bianco” offre la curiosa possibilità  di fare un confronto più o meno diretto tra il cinema italiano e quello americano.
Infatti, assieme al film di Cristina Comencini si è affacciato anche sui nostri schermi il tema della maternità , che è stato centrale nella stagione appena passata della commedia d’oltreoceano, con film che vanno da “Waitress” a “Juno”, da “Baby Mama” a “Molto Incinta”.
Quando era uscito il folgorante film di Jason Reitman, lo si era salutato come un elogio della leggerezza, quella con cui la sedicenne Ellen Page affrontava il problema di essere diventata una balena spiaggiata dopo la sua prima esperienza sessuale: è già  un buon segno constatare come il nostro cinema abbia cercato di assorbirne la lezione, di prenderne a modello lo sguardo un po’ ingenuo e allo stesso tempo propositivo ed originale.

Il film della Comencini ribalta il punto di vista: si può essere troppo giovani per restare incinte, ma si può anche essere troppo vecchie, come l’attrice che affronta con grande naturalità  – e qualche nudo audace – il fatto di non essere più nel fiore degli anni.
Certo, Lo spazio bianco non resiste alla trappola del ricatto morale, quello di appendere ad un filo le sorti del parto prematuro: ma forse è un difetto naturale, connaturato alla tradizionale tendenza melodrammatica del gusto nazionale.
O forse, come dice una giovane madre che vive la stessa condizione della protagonista, è una scelta ancora più radicale: mostrare il percorso di crescita in diretta, attraverso l’unico filtro del vetro dell’incubatrice.
In un certo senso, si potrebbe persino dire che Margherita Buy rappresenti il punto di vista europeo – sofisticato e vagamente altezzoso – e che il personaggio di Antonia Truppo – superficiale eppure vitale, volgare eppure simpatico – quello del cinema americano, che prende le cose sempre troppo alla leggera.
Eppure, va apprezzato lo sforzo de Lo spazio bianco di superare i blocchi abituali, gli ostacoli che sono sempre dietro l’angolo nel nostro modo di affrontare il cinema: ad esempio, che nel film non venga mai nemmeno presa in considerazione la scelta dell’aborto, che avrebbe sicuramente dirottato le attenzioni sulle schermaglie tra differenti schieramenti d’opinione.

Non mancano le pastoie del racconto forzatamente politico: non si potrebbe giustificare in altro modo il personaggio accessorio del magistrato, che espone il suo discorso diretto e vano sull’ingiustizia, sulla condizione sociale dell’Italia contemporanea.
Eppure, per una volta sono dettagli che passano in secondo piano, con la stessa velocità  con cui viene rappresentato il dramma iniziale della Buy, sul punto di perdere sua figlia in una strada di Napoli.
La Comencini ha delle scelte felici, a partire dalle musiche, e non rinuncia a quei tocchi autoriali che qui però non infastidiscono, e non scendono mai nel narcisismo di chi racconta: forse, non tutte le sequenze non necessariamente narrative sono pertinenti come il treno di boyscout che si intromette e la divide per sempre dal padre di sua figlia, simpatico eppure immaturo, proprio mentre lei gli mostra l’ecografia, e mentre sta per dirle qualcosa di risolutivo, un attimo prima che lui fugga.
Non lo è l’improvvisata allegoria della deposizione che viene messa in scena nell’interno asettico in cui le madri vedono i loro figli lottare per vivere, ripresa dall’alto dal sempre affabile Luca Bigazzi.
L’operatore si rifà  catturando piccoli gesti, caratterizzando la sua star mentre spacca le noci, mentre cerca di prepararsi un uovo, in piccoli momenti di solitudine mai esasperata.

Per una volta, si può dire anche evitare di dire come Margherita Buy sia molto brava, come spesso si sostiene di quei film italiani che cercano e trovano nella recitazione un premio di consolazione.
In questo caso, è “Lo Spazio Bianco” ad essere gradevole.

Cover Album
Regia: Cristina Comencini
Sceneggiatura: Francesca Comencini e Federica Pontremoli
Fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Massimo Fiocchi
Interpreti: Margherita Buy, Gaetano Bruno, Giovanni Ludeno, Antonia Truppo, Guido Caprino, Salvatore Cantalupo
Origine: Italia, 2009
Durata: 96′