Potrei dire che i Califone stanno al rock come Derrida al pensiero occidentale novecentesco, ma non sono una nerd, quindi non lo dirò. Che hanno preso il rock-centrismo che da sessant’anni a questa parte infetta la nostra cultura e lo hanno smantellato, devitalizzato, lacerato e infine ricomposto, ma con i piedi all’aria e la testa in giù.
Il minimo che si pretende da un’operazione del genere è che il risultato sia incomprensibile. Vero, onesto, ma incomprensibile. E da lì in poi tutti a ricamarci sopra, vedi Guernica e Picasso, vedi John Cage e l’elettronica. Qualcosa di cui andare fieri, se la si conosce, in una conversazione a cena con gente banale.

Mezza stelletta delle 4.5 che ho assegnato a “All My Friends Are Funeral Singers” è in onore del loro essere, malgrado tutto il casino e lo spiazzamento che ci hanno infilato in mezzo, un album godibile e comprensibile. Da qui a diventare music for the masses ce ne vuole, ma siamo comunque lungo la strada di una specie di democrazia musicale. Che nasce, e si impone, quando una cosa è bella. E che per apprezzarla non devi essere necessariamente allucinato, emotivamente destabilizzato o in frequenza sonica.
Tre cose su tutte si riallacciano a questo discorso: “Giving Away The Bride”- furbescamente in apertura dell’album- ipnotica e d’impatto; “Krill”, una delle cose più belle che si siano sentite quest’anno (e non solo) e la title-track “Funeral Singers”. Il resto è un omaggio alle distorsioni, alle rivisitazioni delle rivisitazioni, il blues come non lo avete mai sentito, il country che farebbe schifo a tuo nonno, l’alternative folk che non è una posa da indie generation con la camicia a quadri lungo il viale del tramonto, ma qualcosa di maledettamente serio.

Poi c’è la citazione cinematografica, “Bunuel”, perchè come se non bastasse “All My Friends Are Funeral Singers” è anche la colonna sonora del film omonimo, che accompagna la band in tour, scritto dal frontman Tim Rutili. Trama? Una donna abita in una casa infestata da fantasmi, non vorrebbe mandarli via ma deve. Da quel momento in poi loro iniziano a rovinarle la vita. Prevedo una tragedia, ma concedo ai Califone la sospensione del dubbio.
In definitiva potrei dire che per una volta sono d’accordo con Pitchfork, che incensa Rutili & Co. da anni a questa parte, ma questo non lo farò mai, neanche sotto tortura.

Nota a margine: se “All My Friends Are Funeral Singers” è così spettacolare, allora perchè non gli ho dato il punteggio pieno? Mi sono fidata di quelli che dicono gli album precedenti dei Califone siano incendiari, molto più di questo. Ah, e all’inizio di questa recensione ho detto una bugia.