Adam Green è indubbiamente un ragazzo da amare.

Classe 1981, ancora giovanissimo e già  in giro a portare ‘pesche ammuffite’ assieme a Kimya Dawson tra la fine degli anni 90 e la temporanea sospensione della storia, avvenuta nel 2003, quando entrambi decisero di tentare la carta solistica. Lo-fi intriso di non-sense, versetti demenziali su partiture che definire spartane non è comunque sufficiente, i Moldy Peaches, autobattezzatisi pionieri dell’anti-folk, raccolsero senz’altro più di quanto seminarono, e con un solo album all’attivo restano nella memoria e nel culto degli indie-maniaci di quegli anni. E anche dei nostri, grazie a “Juno”, il film, che all’interno della spumeggiante colonna sonora presentava alcuni pezzi del gruppo e della Dawson solista e solitaria. Per noi, però, grazie ovviamente e soprattutto alla carriera di Adam Green che, nel volgere di cinque anni, ha sfornato ben 6 dischi. Minutaggio di ognuno abbastanza scarso, visto che anche quest’ultimo supera a malapena i 32 minuti, ma con tante storie e ‘sturiellet’ da raccontarci. Le 14 tracce della sua ultima ‘fatica’ non cambieranno di una virgola la storia della musica rock e affini. Non stiamo parlando di dischi memorabili o irrinunciabili, ma se li trascurate è un peccato, per voi ovviamente.

“Minor Love” è una piccola dichiarazione d’amore per gli anni ’70, declamata con la stupenda voce da crooner che contraddistingue ormai ognuno dei lavori dell’Adam solista. Ma rispetto ad altre prove precedenti, il risultato finale stavolta appare più definito e appagante. La vena demenziale e l’atmosfera un po’ tra il “nerd” e lo “slacker” che lo ha fino ad ora accompagnato sembra essersi diradata, lasciando il posto ad un attento gioco di piccole citazioni e invisibili richiami, disseminati lungo tutte le tracce.
Malgrado gli echi del Dylan elettrico e spavaldo di “Blonde on Blonde”, il Cohen poeta folk di “Songs From A Room”, il Sinatra extra-classico di “My Way”, non dovete pensare a recuperi fedeli e ortodossi. Su tutto prevale sempre un’atmosfera distesa e divertita, tra la spensierata fanciullezza di un Jonathan Richman e la rilassata rilettura del passato dell’ultimo Devendra Banhart. Complice, in questo clima generale dell’album, forse anche il buon Rodrigo Amarante dei Little Joy, all’opera negli ultimi lavori di entrambi gli artisti.

Due pezzi si staccano appena dall’insieme compatto e coeso: la brillante “What Makes Him Act So Bad”, un omaggio svagatamente garage tra Troggs, Velvet e tutti gli altri cento e più gruppi misconosciuti riproposti in una delle numerose raccolte nuggets, con tanto di chitarra fuzz a chiudere. L’altra è “Castles And Tassels”, la filastrocca che Johnny Cash non ha mai osato incidere, con tanto di testo che, in apparenza accordato con innocenza sulle note infantili del brano, si rivela nella sua demenzial-trivialità  (Castles and tassles / And flatulent assholes / I love you) l’unico retaggio rimasto delle oscenità  un tempo care al nostro.
Queste almeno le mie predilette, ma le vostre orecchie potrebbero impazzire per il noise fatto-in-casa di “Oh Sucks” o per gli echi di George Harrison racchiusi in “You Blacken My Stay” o ancora per la sospesa e adulta “Boss Inside”, degna di un Cohen all’ultimo stadio.

Adam è cresciuto, ha imparato a suonare tutto e di tutto, come ci dimostra in questo disco, ma per la nostra gioia la sua capacità  di trasfigurare la realtà  e la musica da cui attinge è rimasta intatta. Artista di culto per scelta e per necessità , senza hit da lanciare in classifica all’interno di queste brevi 14 canzoni, ma con una vena occulta che percorre tutto il lavoro, genera assuefazione e spinge ad un ascolto continuo e ripetuto di queste piccole amabili stramberie.
Una piccola precisazione: quella quarta stellina potrebbe non esserci, se dovessi ragionare col metro di certa “‘scrittura’ musicale con la S maiuscola, ma quando un disco riesce a farti ripigliare, a rimetterti dell’umore buono con la grazia e la delicatezza con cui c’è riuscito questo, allora un po’ di generosità  è meritata. Credetemi.

Cover Album

Transference
[ Rough Trade – 2010 ]
Similar Artist: Jonathan Richman, Devendra Banhart, Leonard Cohen, Bob Dylan
Rating:
1. Breaking Locks
2. Give Them A Token
3. Buddy Bradley
4. Goblin
5. Bathing Birds
6. What Makes Him Act So Bad
7. Stadium Soul
8. Cigarette Burns Forever
9. Boss Inside
10. Castles And Tassels
11. Oh Shucks
12. Don’t Call Me Uncle
13. Lockout
14. You Blacken My Stay

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