Circolo Degli Artisti, Roma, 24/09/2009

La profonda stima del nostro paese nei confronti di Scott Matthew è ormai evidente. Anzi forse da nessun’altra parte come in Italia il barbuto australiano raccoglie consensi così positivi.
Lo dimostra l’ottima partecipazione di pubblico ai tanti concerti messi a segno in alcune nostre città  nel giro di pochi mesi (solo a Roma è stato tre volte), lo attestano le critiche sempre più positive a due dischi che all’estero invece sembrano non raccogliere i giusti meriti.
Noi allora ci ritroviamo nell’inusuale situazione di scoprire e coccolare un artista ancora prima che l’immancabile onda di hype proveniente tanto oltre oceano quanto oltre manica ci travolga.

Se prima o poi la poco influente Italia musicale riuscirà  ad attirare l’attenzione internazionale su questo cantautore dall’immenso talento e’ difficile dirlo, per ora ci accontentiamo di incontrare Matthew poco prima dell’ennesima data romana, ma soprattutto a pochi mesi dall’uscita di un altro ottimo disco come “There Is A Oceans…”

Per realizzare “There Is A Oceans…” ti sei avvalso della collaborazione di un numero più elevato di musicisti rispetto al passato. Com’e’ stato coordinare questo gruppo di collaboratori?
E’ stata una questione di organizzazione. Realizziamo dischi con pochi soldi, dobbiamo riuscire a fare tutto molto velocemente e soprattutto per questo motivo è stato un pò stressante. Ho comunque lavorato con professionisti e ottimi musicisti, questo ha reso tutto più facile.

Com’è nata l’esigenza di coinvolgere più turnisti?
Il secondo album doveva essere migliore del primo, e per me migliore significa ‘più grande’. Consideravo comunque ottima la dimensione minimale del mio debutto, ma per “There Is An Ocean…” volevo che si sentisse la presenza di più corpi.

Un debutto dalla forte impronta acustica, questo ultimo disco arricchito di strumenti e soluzioni sonore pur mantenendo intatta la dimensione intima e il notevole impatto emotivo. Il tuo modo di comporre ha mostrato in poco tempo un evidente evoluzione.
I dischi sono usciti in un tempo molto ravvicinato, nonostante questo tra i due lavori è passato quasi un anno trascorso gran parte in tour, dove tutti noi abbiamo vissuto esperienze formative.
Io stesso ho iniziato a conoscere meglio il mio modo di comporre. Così tornati in studio per registrare “There Is A Ocean…” avevo una visione più chiara di cosa volessi ottenere con la mia musica, cosa volevo dire, avevo maggiore conoscenza del processo di registrazione.

Inserendo nuovi strumenti non hai mai avuto il timore di perdere quel suono essenziale che aveva reso il tuo debutto così intimo e affascinante?
Noi non usiamo batteria e questo in parte ci aiuta perchè lascia ancora molto spazio nella musica conservando quell’atmosfera di intimità .
Però hai ragione abbiamo dovuto prestare attenzione a questo aspetto, il rischio che sovraproduzione e sovra-arrangiamenti rovinassero il risultato finale era sempre in agguato.

“Thistle” è una canzone atipica nel tuo reportorio. Probabilmente non hai mai composto nulla di così solare.
Si musicalmente è allegra, ma il testo è molto malinconico.

Come è nata questa canzone?
Sono sempre stato un grande appassionato di pop, soprattutto di quel tipo di canzoni tristi nel contenuto ma musicalmente molto allegre. Penso agli Smiths che adoro e che in questo erano maestri. Ho semplicemente sperimentato questa forma.

Recentemente hai iniziato a suonare l’ukulele. Tra l’altro ho notato che ne vendi uno sul tuo banchetto promozionale.
No, non lo vendo. Quell’ukulele che hai visto è legato ad un contest. Alcuni ragazzi che fabbricano strumenti mi hanno regalato chitarre e io semplicemente ricambio il favore promuovendo il loro lavoro. Chi partecipa può vincere quell’ukulele..

Questo strumento sembra essere tornato molto di moda tra gli artisti indie. Penso a Jens Lekman.
Beirut

…certo Beirut, anche Magnetic Fields. Tu perchè hai scelto di utilizzarlo?
Sono stato costretto a suonare l’ukulele. Come vedi il mi dito si è fottuto (ndr. mi mostra il dito medio della mano sinistra, è praticamente atrofizzato) e per un lungo periodo ho dovuto smettere di suonare la chitarra. L’ukulele in quell’occasione si è dimostrato più semplice da maneggiare. Mi piace il suo suono, molte canzoni del nuovo disco sono state composte con questo strumento, ma diciamo che il mio avvicinamento all’ukulele è stato assolutamente forzato.

Data la natura così personale dei tuoi testi ti sei mai chiesto cosa possa pensare di te la gente ascoltando la tua musica?
La gente pensa che io sia maniaco depressivo, ma non è vero.
Sono una persona apposto, anche se è normale avvolte essere un pò giu’, avere paura, essere tristi. Ma non è così sempre. Allora le persone pensano che io viva in un perenne alone nero, quando invece la giusta misura è il bilanciamento, la luce e il buio, lo yin e lo yang.

Gran parte delle tue composizioni trattano di temi legati all’amore. In più di un occasione il messaggio che emerge è del tipo L’amore è una grade cosa, ma stai attento potrebbe distruggerti. E’ una corretta chiave di lettura?
Si, la penso in questo modo. L’amore è grande, prezioso, a tutti i livelli non solo quello romantico ma può essere anche molto pericoloso. Semplicemente mi sento di dirlo alla gente con tutta l’onestà  possibile. Canto quello che provo, canto il “Gospel di Scott Matthew“.

Mettersi totalmente a nudo scrivendo canzoni ha sempre l’aria di una terapia per chi compone.
Lo è, senza dubbio.

Una terapia che funziona?
Funziona, anche se ad essere sinceri spesso arrivo a fine tour psicologimanente sfinito.
Raccontarmi alle persone mi aiuta comunque a non tenermi tutto dentro ma soprattutto mi da la possibilità  di rivivere le mie esperienze con maggiore lucidità .

Trovo i giornalisti musicali molto pigri. Recensiscono un tuo disco e sistematicamente ti accostano ad Antony….
e a Rufus Wainwright

…e a Devendra Banhart…
si anche Devendra, ma io non suono assolutamente come lui.
Hai ragione sono molto pigri. Non sono un grandissmimo fans dei nomi che tirano in ballo, anche se stimo tutti questi artisti.
In particolare Antony che ho conosciuto sia al Montreaux Jazz Festival, sia qualche volta a New York. Non mi interessa essere paragonato a loro però hai ragione questa è un analisi molto limitata che non riesce ad andare oltre le affinità  gay o al modo di vestire.

In Australia hai iniziato giovanissimo a suonare in una band punk-rock. Francamente dopo averti visto suonare l’anno scorso è difficile immaginarmi uno Scott Matthew punkettaro, incazzato con tutti.
Anche per me. Ero molto giovane, ascoltavo quella musica e la volevo suonare. Anche adesso ogni tanto ho voglia di spaccare tutto ma ti assicuro che all’epoca ero una persona totalmente diversa

Come è stato l’impatto con New York ?
Sono cresciuto in campagna, ho vissuto per un pò a Sidney e poi mi sono trasferito a New York.
All’epoca la vedevo come una giusta evoluzione anche se niente può prepararti ad essere giovane e senza una lira nella grande mela.
L’impatto con New York è stato spaventoso.

Pensi che New York abbia influenzato il tuo modo di scrivere?
No, non ritrovo New York nella mia scrittura. Sono influenzato dalle persone che incontro in giro per il mondo.

Per alcune persone che conosco tu sei sempre il ragazzo che cantava in “Shortbus”. Ti secca essere ricordato soprattutto per una collaborazione realizzata ai tuoi esordi?
Sono molto orgoglioso di essere ricordato per quel fantastico film. E’ stato fatto un gran lavoro, con dedizione e pochissimi soldi, quell’esperienza per me è stata una grande fonte di ispirazione. Inoltre devo molto a “Shortbus”, perchè grazie a quell’apparizione ho avuto la possibilità  di farmi conoscere.

Sei stato recentemente in Giappone. Com’è andata?
Hanno organizzato un evento in onore di Yoko Kanno, creatore di “Cowboy Bebop”, una serie anime televisiva per la quale ho prestato la voce per la colonna sonora.
Sono stato chiamato per suonare 4 canzoni in uno stadio con 70.000 persone, inoltre il mio disco stava uscendo in Giappone in quei mesi così la mia etichetta ha organizzato anche un concerto a Tokyo per promuoverlo. E’ andato tutto molto bene.
In Giappone gli appassionati di anime e manga sono letteralmente pazzi. Mi cercavano per strada, urlavano quando mi vedevano, per la prima volta nella mia vita mi sono sentito veramente famoso

Ho letto che il tuo prossimo disco sarà  un album di duetti e sappiamo che uno degli ospiti sarà  Joan As Policewoman. Vogliamo sapere gli altri nomi.
Mmmhhh, non te li posso svelare ora anche perchè devo ancora chiederglielo.

Quindi hai composto le canzoni pensando già  all’artista con cui ti piacerebbe realizzarle?
Si, decisamente. Comunque non credo che il prossimo album sarà  composto interamente da duetti, ma solo cinque canzoni. Ne ho già  composte tre. In realtà  posso svelarti un altro nome che prenderà  parte a questo progetto, è Chris Garneau. Lui è stato già  avvisato e ha accettato di affiancarmi.

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SCOTT MATTHEW su IndieForBunnies: