Orecchie ronzanti, senso di equilibrio precario e disorientamento. Questo è l’effetto che può insorgere negli spettatori più sensibili dopo un concerti dei 65daysofstatic (che ricordiamo, hanno aperto i live dei Cure per il loro tour 2007-08). Energia primordiale e genuina, stupore giovanile, inquietudine post-moderna, techno arcigna, rock heavy sfigurato attraverso vincenti modalità  post-“…si balla, si fa headbanging, poi si assiste attoniti ad un piano quasi neoclassico, e poi via con contorsioni e amplessi di chitarre scroscianti che tracciano scie infinite in una notte di primavera fin troppo fredda, che incontrano figure acrobatiche di batteria, che a loro volta incrociano beats ad alto tasso di danzabilità  fino a creare in alcuni frangenti incastri ritmici ‘festosamente’ ipnotici. E’ come se tutte le musiche ‘alternative’ del mondo si incontrassero nello stesso momento, o si dessero veloci cambi tutte con lo stesso intento.

Missione: celebrare la gioia di suonare, il brivido di suonare, la paura esorcizzata che trapela dalle note, la voglia di tenersi stretti, la necessità  di andare veloci, di sentirsi vivi. E’ un tunnel nero attraversato da luci al neon accecanti, un sorriso vero che esplode in un fuoco artificiale gigantesco, ma che puoi anche stringere tra le tue mani. I ragazzi di Sheffield macinano note su note a velocità  impossibile con una precisione millimetrica”…si fa fatica a seguirne i movimenti, si fa fatica a capire cosa stiano davvero facendo”…eppure il loro suono è impeccabile e potentissimo, le melodie ti spaccano in due, i ritmi ti sollevano da terra. Insomma la dimensione live non è per i 65dos un noioso lavoro che si è costretti a svolgere per promuovere la proprio musica, ma è qualcosa di naturale e necessario. Sembra che la band viva letteralmente per suonare davanti ad un pubblico e stare sul palco. L’episodio più intenso della serata sarà  la riproposizione di “Retreat! Retreat!”: l’Init stracolmo salta in aria e travolge con una grande ovazione gli svitati post-rockers inglesi i quali offrono una versione davvero indimenticabile di una delle loro composizione più note e apprezzate. Verso la fine la danzereccia “Tiger Girl” tratta dal nuovissimo We Were Exploding Anyway, crea un’atmosfera da rave tanto allucinata quanto festosa a cui risulta davvero difficile sottrarsi. Insomma i 65dos prima ti assaltano con chitarre ultradistorte e poi che fanno? Ti portano in una discoteca di postrockettari”…una discoteca ai confini del mondo, dove fregarsene di tutto e tutti. Che genere suonano i 65dos? Stasera non so rispondere, non mi importa”…

Se forse l’effetto sorpresa nei dischi in studio ultimamente è venuto un po’ meno, non possiamo che rimanere stupefatti della abilità  e della capacità  di questa band strumentale di suscitare in sede live grandissime emozioni.

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