C’è reunion e reunion. I motivi, spesso e volentieri, sono due: una ritrovata ‘certa’ vena artistica che è possibile catalizzare soltanto sotto un particolare nome e il vil denaro. Parlarne è una questione di lana caprina, la verità  non la puoi mai sapere. Tutto sta alla soggettività  dell’ascoltatore/spettatore.

E proprio per questi ascoltatori/spettatori le reunion che sono, a quanto sembra, la next big thing di questi anni paradossalmente, sono anche la possibilità  di aggiungere Quel nome alla lista dei concerti visti. Ma forse gli Atari Teenage Riot sono una storia a parte. Tornati sui palchi quest’anno, a seguito dell’ultimo singolo “Activate”, sembra davvero che rispetto ad undici anni fa (l’altra volta in cui li ho visti, altra città , altra atmosfera, era l’apertura di uno show dei Nine Inch Nails) poco o nulla sia cambiato. Perchè più che un’essenza musicale gli ATR sono un’idea e, si sa, le idee se abbastanza forti da non lasciarsi scalfire dal tempo e dai mutamenti resistono. E se possibile più forti di prima.

Oggi gli Atari Teenage Riot sono tre: Nic Endo, Alec Empire e il nuovo MC e strumentista CX Kidtronix. Non ci sono più Carl Crack (il cui decesso fu la causa dello stop degli ATR nel 2001) e la vocalist Hanin Elias. Salgono sul palco e comincia un’ora e un quarto circa di bombardamento sonoro e anthem, partendo proprio da “Activate” per sviscerare in un magma sonoro fatto di beat digitali, campionamenti, samples e grida. “Too Dead For Me” (questa disturbata da problemi tecnici che hanno causato un break all’esibizione di una decina di minuti), “Into The Death”, “Speed”, “US Fade Out”, “Revolution Action”, “Start The Riot”. Il pubblico reagisce entusiasta, si poga, si balla, le due cose spesso si incrociano. Volano occhiali e persone, l’udito ne risente pesantemente. Ma questo per diversi giorni a venire, ve lo assicuro. Nic Endo se la cava bene anche come vocalist, ricoprendo per bene il ruolo di Hanin Elias. Forse un pochino meno Kidtronix, ma l’eredità  è pesante da sopportare.

Il tutto finisce con 5 minuti di noise indistinto, reminiscente del live alla Brixton Academy dei nostri. Una mazzata finale, il giusto anti-climax. Si prevedeva che l’Init rischiasse la demolizione dopo questo show. Assolutamente no: uno dei più amati locali live romani può da oggi fregiarsi dell’aver ospitato un altro pezzo di storia della musica di protesta europea. Storia e futuro, aggiungo io.

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