Bobo Rondelli ha regalato alla platea del Circolo degli Artisti una delle serate più belle della stagione. Bella per chi è stato inaspettatamente scaraventato nella mischia come per i devotissimi del cantautore. Folla eterogenea la cui attenzione è catalizzata dal maturo magnetismo del musicista. Esordisce parlando d’amore Bobo Rondelli, di storie che finiscono, di capitoli conclusi ma anche di politica, di appartenenza, di ricordi e ci conduce per mano in un percorso che tocca le corde dell’anima senza mai essere patetico. Perchè un po’ ci fa ridere un po’ ci fa piangere, appeso tra una nota ed una battuta, con quel carattere tutto livornese della risata che si porta dietro uno sguardo malinconico e mai superficiale sulla vita.

Bobo Rondelli si concede interamente ad un pubblico che ascolta e sente, la sua non è esibizione ma partecipazione. Allora tutti a cantare che dalle case di operai si vedevano le Hawaii (“Hawaii da Shangai”), tutti patire per il più famoso degli orsi ammaestrati (“Gigi Balla”), tutti a sognare l’anima in pena inabissarsi in fondo agli occhi della sirena (“Madame Sitrì”). Poi, dopo un paio di guest che si alternano sul palco, la temperatura vale uno smagliettamento improvvisato mentre ci vengono offerte magnifiche interpretazioni di Mina e Paolo Conte.

E quando a fine serata intona “Lungo Treno del Sud” citando Piero Ciampi, siamo ormai tutti col cuore in mano grondante di sangue e sudore. Rondelli ha vinto anche sul caldo asfissiante del Giugno romano, nessuno ha mollato la sala per una boccata d’aria nel giardino. E’ solo a fine concerto, defluiti in massa all’esterno, birra alla mano, che ci si chiede cosa accomuni universitari in dreadlocks, intellettuali, geeks, facce varie ed eventuali; la risposta è lì davanti a me: quell’uomo che chiacchiera al bancone del bar. Caciucco rocks. Bobo pure.

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Photo Credit: Lucarelli, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons