E’ uno sporco lavoro quello dei Foals. Qualcuno lo deve pur fare e quel qualcuno è una band di cinque ragazzi di Oxford. Difficile dire quanto ci sia di pianificato, quanta parte sia scelta consapevolmente e quanto invece è solo istinto, casualità , talento, chiamatelo come vi pare. Anche perchè non è esattamente, questo, un lavoro dei migliori: come tutte le faccende sporche, alla lunga diventa logorante. Non è affatto escluso che al prossimo giro i succitati cinque di Oxford si stufino e si presentino con una veste completamente nuova. Abbiamo fatto la nostra parte finchè abbiamo potuto, ora che ci pensi qualcun altro. Noi vorremmo anche svagarci un po’. Non avrebbero tutti i torti.

I Foals distruggono, chiudono questioni. Non sono Mr.Wolf, non risolvono problemi. I problemi, almeno in questo campo, tendono a risolversi da soli. I Foals danno il colpo di grazia, l’ultima mano di bianco prima che sia tempo di girare pagina. “Antidotes”, l’album d’esordio uscito due anni fa, aveva assestato la scossa decisiva; “Total Life Forever” mostra la polvere e le macerie.

E’ una storia iniziata nella prima metà  del decennio scorso, quando la parola ‘punk’ unita con un trattino alla parola ‘funk’ saltava fuori a pagine alterne in tutte le riviste di musica. C’erano i Bloc Party, i Franz Ferdinand, LCD Soundsystem, i !!!, i Rapture, i Radio 4. Ve li ricordate i Radio 4? Alcuni ottimi album, diversi album mediocri e una parabola che ha iniziato presto a scendere, stancamente, verso il limbo della ripetitività . Alcuni hanno mostrato il giusto numero di idee chiare e su quelle hanno saputo costruire la propria strada, scardinando gli schemi e migliorandosi anno dopo anno (leggi James Murphy). Altri hanno finito per spegnere ogni promessa e farsi da parte fino a scomparire (che fine hanno fatto i Rapture?) L’ultimo sussulto è stato proprio “Antidotes”: ritmi belli dritti e melodie altrettanto rigide, ma anche rabbiose, disperate al punto da essere trascinanti. A prima vista un album anomalo, “Antidotes”. Arrivava a giochi ormai fatti, questo era chiarissimo, ma riusciva comunque a segnare qualcosa di diverso in quello spazio ormai saturo. Più che un rinnovamento, infatti, ci si accorgeva presto che quello era un testamento. I Foals facevano il loro ingresso in scena mischiando gli stilemi più classici del ‘punk’ trattino ‘funk’ con il math-rock dopato dei Battles. Struttura e insieme destrutturazione. Demolizione.

“Total Life Forever” è il post-catastrofe. Non a caso è “Spanish Sahara” il singolo scelto per annunciare l’uscita del disco: un’apertura lentissima e un crescendo che sembra non voler finire, polvere che si dirada, sette minuti che raccolgono un paesaggio desolato, un deserto. So I walked through to the haze / And a million dirty waves / Now I see you lying there, recitano i primi versi, e un futuro sbagliato si mostra nel ritornello: It’s future rust and then it’s future dust. C’è stato un orizzonte, uno spazio verso cui guardare, ma il mondo non procede in linea retta. Basta ascoltare “Black Gold”, canzone manifesto del disco, e manifesto degli stessi Foals: un tempo saltellante e un tappeto sonoro desolato, un velo di delusione e finanche disperazione che avvolge i sei minuti abbondanti di durata. Nel testo, ancora un futuro mancato: The future is not what you see / It’s not where you’ve been to at all / The future is not what it used to be, used to be. Quanto c’era non c’è più, non ci sarà .

Ci sono le immagini della fine e c’è contemporaneamente il racconto di tutto il percorso. I primordi targati Talking Heads ben piantati in “Miami” (guardacaso, secondo singolo estratto), le speranze e le certezze sfrontate dei Rapture esposte senza vergogna in “Total Life Forever”. Poi i primi momenti di panico e la ricerca a tentoni di una direzione nuova, ovvero i Bloc Party dopo “Silent Alarm”: “This Orient”. E “2 Trees”: un video al rallentatore del castello che crolla, mentre i Battles stanno a guardare.

Polvere e macerie, “Total Life Forever”. You’ve got the blood on your hands, I think it’s my own è il primo verso della prima traccia. “What Remains” è il titolo dell’ultima canzone.

PHOTO BY: Alex Knowles