Dominic Maker e Kai Campos sono due ragazzi del sud di Londra. Insieme formano Mount Kimbie: l’esordio dell’anno.
Dopo due ep luminescenti (“Maybes”, “Sketch On Glass”) sulla scia di una meteora sonora, quella britannica, che non sembra volersi spegnere nè precipitare, anzi evolvere, il duo debutta con questo “Crooks & Lovers”, firmato Hotflush, etichetta di punta del rinnovamento post-dubstep londinese.
E qui c’è innanzitutto da chiedersi se il termine ‘dubstep’ basti ancora a contenere un universo in continua espansione come questo. Canoni e regole stilistiche che vengono prima costruiti poi modellati ed infine distrutti da centinaia di nuovi artisti emergenti dalla visione sempre più ampia, grazie ad una velocità  di diffusione mediatica che porta a continue piccole rivoluzioni sonore, piccole scene sotterranee e piccoli capolavori decisamente ignorati.
L’album è uno di questi piccoli capolavori, per fortuna non ignorato, con merito.

Cosa rappresenta questo disco è chiaro: uno dei punti di arrivo e di ripartenza di una scena musicale che tende spesso a stupirci, che fonda le sue radici in un modo di vedere la musica dance in maniera alquanto diversa. Questo album riesce in fondo ad unire due mondi che sembravano inizialmente distanti: la scena IDM anni novanta e la Dubstep londinese del nuovo millennio. Due filosofie sonore molto simili che trovano ultimamente molte occasioni di incontro.
Stiamo dicendo queste cose da mesi (vedi Scuba, Ikonika…) e ogni volta niente sembra smentirci.
La sensazione che qualcosa di nuovo stia nascendo ancora nei sottoborghi di Londra, proprio come 10 anni fa, è forte e questo lavoro potrebbe esserne la prova.

La prima traccia, “Tunnelvision”, è davvero un tunnel sottomarino, soffocata e ripetitiva, come ad incantare l’ascoltatore fino a spegnersi lentamente passando alla successiva “Would Know” che trasmette la particolare sensazione di buttare la testa fuor d’acqua dopo una lunga immersione. “Before I Move Off” potrebbe invece sembrare un pezzo del miglior Flying Lotus in compagnia dei Tunng: minimalismi gratuiti, giocattoli, freschi vocals spezzettati.
“Blind Night Errand” insieme a “Ruby” sono i pezzi più dubstep dell’intero album, con linee di basso profonde e groove statici, tra clap, hit-hat ridotti all’osso e synth acidi in crescendo.
Tutte le tracce presentano il massiccio uso di effetti lo-fi come la ‘saturazione da audiocassetta’ e l’uso di field recordings, a quanto pare registrati nella cittadina di Brighton: ciò crea un bliss profondo, infinito, figlio dell’ambient e dello shoegazing.
Veri capolavori sono la splendida “Carbonated” con le tastiere che ricordano tanto Ikonika e quegli squarci di vocals RnB a là  James Blake, e “Mayor” summa riassuntiva di tutto il disco e di tutti i lavori dei Mount Kimbie fino ad oggi, i suoi synth ultra-weird su quel groove trascinante lasciano increduli al primo ascolto.

Un esordio col botto dicevamo, un disco che nonostante sia poco pop nelle forme, sembra invece trasmettere piacevoli sensazioni all’ascoltatore già  da subito. Come un forte temporale dopo una lunga estate afosa, manca solo di odorare la terra bagnata ed osservare le chiocciole attaccarsi in ogni dove.