L’iperattività  musicale non sempre è vista di buon occhio. Automaticamente la si associa alla disperata ricerca di danaro, ma per una come Amanda Palmer, che da giovane sbancava il lunario come statua vivente, un discorso simile non regge. Certo, quest’ennesima prova di talento della performer americana non è stata pubblicata per la gloria, ma non le si può negare lo spirito artistico tipico di ogni sua uscita sin dai tempi, ormai così lontani, con i Dresden Dolls fino all’ultimo assurdo progetto con Jason Webley, il teatrino vaudeville delle sorelle siamesi Evelyn Evelyn.

Per la sua nuova uscita discografica ““ in vendita solo digitalmente o in vinile, pare abbia già  riscontrato vendite notevoli ““ la Palmer opta per una selezione neanche così originale dei brani più noti dei Radiohead, riadattati come da titolo all’ukulele. Grazie a una strumentazione essenziale e alla sua voce trascinante, lontana anni luce dai rantoli di Yorke, la prima donna del punk-cabaret, apparentemente inconsapevole di rischiare il linciaggio con un azzardo del genere, resuscita inaspettatamente il trasporto drammatico degli originali senza perdere tuttavia la fermezza che l’ha caratterizzata fino ad oggi in ogni progetto.

Nella fattispecie troviamo nell’EP, fedeli al titolo, le buone “Fake Plastic Trees” e “No Surprises”, per sola voce e ukulele, che non si sbilanciano mai troppo dai toni dimessi del buon Thom Yorke; l’ottima “High And Dry”, arricchita da sporadici rintocchi di piano,valida alternativa alle schitarrate di Greenwood; un paio di episodi dal vivo, che sarebbero perfetti se non fossero la stessa canzone ripetuta due volte in circostanze differenti (“Creep”, ovviamente) .

L’apice della confezione è rappresentato da “Exit Music (For A Film)”, in cui la Palmer abbandona per 5 minuti la chitarrina a favore di una strumentazione minimale per piano e violino, più indicati ad accompagnare gli ululati (c’è anche una bella stecca, licenza poetica?) e l’audace “Idioteque”, in cui all’arcinoto sottofondo sonoro di rumorini e microbeat Amanda sostituisce il ritmo sincopato del simpatico ukulele rosso e del proprio piano, che per intercessione dello spirito santo non fanno rimpiangere l’originale, opera magna del quintetto britannico.

Credit Foto: Allan Amato