Oddio l’invasione del brit su etichette italiane! No, non spaventatevi, i The Charlestones vengono da Tolmezzo, provincia di Udine. La Carnia è il loro habitat naturale e, nonostante questo, sono riusciti a colorare di forti tinte brit la loro musica, così distante dall’universo geografico che li racchiude ma così ben interpretata da farli sembrare una delle tante band storiche del settore.
Un disco come questo, sicuramente, non ha pretese di innovazione e lo si capisce fin dalla prima nota. Se c’è un intento chiaro è quello di utilizzare appieno il linguaggio brit per proporre nuova musica ma con gli stilemi più rinomati di questa scena, rifacendoli propri nel 2010 quando ormai l’indie ha soffocato questa fastosa etichetta.

Brit fin dal loro look, spiaccicato in copertina quasi come una dichiarazione d’intenti, i quattro infilano una serie di dieci inarrestabili brani di malcelata ispirazione britannica, prodotti molto bene grazie al mixaggio di Davide Massussi (famoso per il progetto elettronico Love in Detroit, ma già  in sala di registrazione anche per i compagni di etichetta Trabant) e al mastering tutto americano di Carl Saff, da Chicago. Un lavoro in grande per un ottimo disco. Si, perchè non serve proporre qualcosa di totalmente nuovo per fare un album di spessore nel 2010. La melodia e la costruzione dei brani è tutta brit, lo si sente in “Westfora Carillon”, la canzone più riuscita, in “Good Times” e in “Yesterday Remorse”, poi con scala decrescente in tutti i pezzi. L’evidente influsso di band storiche come Pulp e Suede, o più recenti come Babyshambles e Manic Street Preachers, per citarne solo alcune del filone più “popoloso” della storia (dopo il punk dei primi tempi), è onnipresente e non è per niente un male. Perchè riproporre questo genere senza annoiare non è cosa da tutti, e un brano lento come “Ascent of Smiths”, che in molti brit acts analoghi annoierebbe, è composto nella maniera giusta per essere annoverato anche come papabile singolo. E anche se sono solo quaranta minuti (anzi, trentotto), il disco non vi sembrerà  nè troppo lungo nè troppo corto, per la sua evoluta capacità  di cambiare tono velocemente e di essere leggero ma completo.

Per concludere: nei dieci episodi di cui è composto questo “Out From The Blue” (letteralmente: usciti dal nulla) non c’è traccia di momenti sperimentali o che vogliano deviare dal brit più puro. Se vogliono sbancare in Gran Bretagna questo è il modo giusto, ma in Italia forse ci sarà  un minimo di risentimento poichè sempre si guarda con troppa insoddisfazione al cantato in inglese. Detto questo, questo lavoro resta ottimo, suonato benissimo, composto in maniera più che buona e destinato, si spera, a rimanere un gioiellino per gli aficionados italiani di questo genere. Senza le pretese dell’indie-snob che stanno soffocando praticamente tutto.

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Out From The Blue
[ Moscow – 2010 ]
Similar Artist: Pulp, Suede, Babyshambles, Manic Street Preachers

Rating:

1. Yesterday Remorse
2. Thinking At The Bar
3. Leaving Back The Sun
4. Westfora Carillon
5. Ascent of Smiths
6. Good Times
7. Upon The Sand
8. Ermian
9. Made In Paris
10. Out From The Blue