Ecco, se c’è un merito che deve essere riconosciuto ai Daft Punk è quello di essere riusciti a far piacere la dance (chiamiamola così, anche se il termine è alquanto generico e dunque riduttivo) anche agli alternative (ai tempi dell’uscita di “Homework” si era soliti chiamare così le persone che avevano gusti musicali e modi di vestire diversi dalla media) o comunque a tutti quegli snob che hanno sempre ritenuto la dance un genere musicale troppo poco intellettuale o, addirittura, un non-genere musicale. Ricordo l’impatto che ebbero, ricordo l’isteria collettiva, ricordo “Da Funk” ed “Around The World” in heavy rotation sulle radio e sulle tv musicali di regime, ricordo il modo in cui i Daft Punk riuscirono subito ad entrare di prepotenza nell’immaginario collettivo. Sembra ieri ma son passati più di tredici anni, e nel frattempo i Daft Punk hanno smesso di essere umani e si sono tramutati in icone, passando attraverso una personale proiezione della musica e dell’atmosfera che hanno loro malgrado assorbito durante l’infanzia (ossia “Discovery”), un disco-truffa messo in piedi a caso in quindici giorni eppure bellissimo (“Human After All”), un megatour nel 2007 in cui se ne stavano chiusi in una piramide a giocare a Pro Evolution Soccer mentre facevano finta di suonare, sfilate di moda, party esclusivi, una progressiva eliminazione della loro presenza fisica per sostituirla alla presenza di due robot uguali ed identici a loro (si è perso l’uomo ed è rimasto il robot, come diceva la Paolino Paperino Band in “Maicol” – ed infatti i Daft Punk stanno alla dance più o meno come Michael Jackson sta al pop. Stesso impatto, stessa voglia di mettersi in gioco, stessa capacità  di essere sempre un passo avanti rispetto alla concorrenza che cerca disperatamente di imitarli ma non ce la fa proprio. Speriamo solo che non facciano la stessa fine, teniamoli lontani dal Demerol e dagli antidolorifici in generale) e tante altre belle cose. Lo dichiaro: i Daft Punk sono una delle cose musicalmente più importanti di sempre.

E finalmente qualcuno ha riconosciuto i loro meriti e la loro importanza e li ha messi nero su bianco per tramandarli ai posteri o per farli conoscere a chi non c’era (o magari era distratto oppure dormiva). Questo qualcuno si chiama Marco Braggion ed è uno di noi (in senso figurato, ma anche no) che ha scritto “Daft Punk ““ Icons After All”, la prima monografia interamente dedicata ai Daft Punk. Era ora che qualcuno decidesse di mettersi alla tastiera per scrivere una monografia sui Daft Punk, era ora che qualcuno dedicasse quasi duecento pagine a questo fondamentale duo francese, personaggi dopo i quali nulla è stato più come prima (almeno in un certo ambito, ma forse anche nel mondo della musica in generale. Anzi sì, confermo: nel mondo della musica in generale). E che monografia: Marco Braggion con competenza, gusto e stile da vendere riesce a tratteggiare alla perfezione l’universo dei Daft Punk, partendo dalle loro radici fino ad arrivare ai loro possibili discendenti/figliastri, passando attraverso tre dischi e l’enorme impatto che questi hanno avuto sulle sorti della musica degli ultimi dieci/quindici anni. La forza di quest’opera sta proprio nel fatto che Marco Braggion non si limita a descrivere ed elencare fatti e cose, ma contestualizza il fenomeno, ne riconosce l’importanza, argomenta e descrive tutte le implicazioni che ha avuto in termini di ‘schiere di imitatori ““ alcuni validi e molti altri no’ (leggasi Justice, Crookers e compagnia danzante), ‘schiere di nostalgici di un passato che per ragioni anagrafiche non hanno mai vissuto’ (tutte queste Reebok Pump che vedo in giro? Tutto questo revival primi novanta ““ fine ottanta? Questa atmosfera che stiamo vivendo? Vien tutto da lì, non si scappa. è colpa dei Daft Punk), ‘estetica uber-cool’ (direttamente legata alla nostalgia del passato mai vissuto per mere ragioni anagrafiche, ma anche no) ed altre belle cose.

In poche parole, una lettura parecchio interessante ed istruttiva che non dovrebbe mancare nella biblioteca di ogni appassionato di musica che si rispetti. Per conoscere, per conoscersi o semplicemente per capire meglio un fenomeno che un tempo sembrava un fenomeno passeggero legato all’universo dance ed invece ha dimostrato di essere fondamentale per le sorti della musica tutta. A questo punto spero in una buona traduzione ed un’altrettanto buona diffusione all’estero, un’opera come “Daft Punk ““ Icons After All” potrebbe funzionare anche (e soprattutto) fuori dai confini italiani. Braggion se lo meriterebbe davvero.

Daft Punk – Icons After All
Voto: 7,5

Autore: Marco Braggion
Collana: OMu – Odoya Musica
In Collabrazione con Sentire Ascoltare
ISBN: 978-88-6288-092-3
Pagine: 192
Data di pubblicazione: novembre 2010
Editore: Odoya

Photo: MATHIAS_F / CC BY