BSP: Coccolati dalla critica britannica, osannati per le loro performance dal vivo, per la loro passione per il birdwatching (si birdwatching, avete capito bene) e per l’afflato bucolico tipicamente anglosassone. Niente in contrario contro la natura, il birdwatching e le colorite esibizioni live ma per quanto riguarda la musica trovo che eliminando i fronzoli “Valhalla Dancehall”, ultimo lavoro della band inglese, non aggiunga molto a quanto già  espresso nei loro precedenti lavori.

In netto contrasto con quanti elevano questo disco ad esempio compiuto dell’ottimo lavoro del gruppo l’ascolto mi lascia in preda allo scetticismo per una sequenza di brani che a me è invece sembrata abbastanza monotona e ripetitiva. I BSP si inseriscono nel solco della tradizione indie rock a metà  tra il revival punk (“The Black Sail”) e l’epica orchestrale degli ormai onnipresenti Arcade Fire (“Once More Now”, “Mongk II”). In sottofondo echi ridondanti di Manic Street Preachers e secondo i più anche dei Pixies, i BSP devono fare però i conti con un contemporaneo che rende il loro sound accessibile ma anche abbastanza scontato.

Certo questa pista da ballo vichinga è un’immagine vivida e suggestiva per un album che può risultare gradevole (“Living Is So Easy”), persino divertente ma troppo ancorato a riferimenti datati senza l’aggiunta di particolari guizzi di genio. Più credibli quando cala la soglia del rumore (“Luna”) e si addentrano in territori più cupi ed intimisti i BSP mettono insieme un disco emulo di certe altre band di certi altri tempi. Certo, un contributo ben eseguito ma che nel fuoco incrociato tra arrangiamenti orchestrali post-moderni e citazionismo alternative-rock cade vittima della sua stessa ordinarietà . Meglio il birdwatching.

Credit Photo: Simon Fernandez, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons