Chi suona stona, chi non suona critica
(R. Muti)

C’è sempre puzza di bruciato quando un album cerca di risolvere un’equazione matematica attraverso le canzoni. Il fatto è che la musica dovrebbe essere un fluire privo d’intoppi, caldo, appassionato, possibilmente nutriente, necessariamente trascendente. Questo perchè il succo del discorso è sempre lo stesso: fischiettare con un ombrellino a pois rosa, sospesi su una fune a 30 metri da terra, è una questione di equilibrio, oltrechè di stile.

Su quel filo teso e pericolante i Cold War Kids ci camminano da un bel po’ di tempo, in virtù di uscite discografiche trasversali, perennemente sospese in un immaginario mondo costruito a botte di rock, soul e delizie vocali. E dopo due album spessi e carichi di groove, giungono a questa terza fatica ben consci di porsi alla stessa maniera di un condannato dinanzi al plotone di esecuzione. Il mondo difficilmente perdona i cambiamenti, viene da pensare.

Abbandonate per il momento le atmosfere claustrofobiche e metropolitane delle opere precedenti, i quattro californiani si danno totalmente al culto di un rock veloce, accattivante, quasi radiofonico, nitido, lineare, ma emozionante e terribilmente seducente. A scherzare con gli intrecci mai banali tra le chitarre rollingstoniane di Jonnie Russell e la funkeggiante sezione ritmica del duo Maust-Aveiro, c’è quel balsamo primordiale che è la voce di Nathan Willet, un incrocio incandescente di sudori soul e prepotenze rock’n’roll, un ipotetico punto d’incontro delle migliori tradizioni americane, siano esse black o bianche.

C’è come una voglia di scivolare dentro le canzoni senza perifrasi, abbandonandosi all’elettricità  scatenata da una passione travolgente, fremente di vita, relegando in soffitta ragionamenti di sorta e filosofie sofisticate. Ne esce fuori un disco che centra 11 brani decisivi, strutturati, suonati ed interpretati con profondità , padroni di un’anima irrequieta ed un’identità  precisa, così forte che solo il preconcetto può portare a smontare, specie se le caratteristiche di base dei Cold War Kids rimangono, nel loro complesso, intatte se non addirittura rafforzate.

“Mine Is Yours” suona esattamente come una giornata di sole che asciuga paura e terrori da un viso storto da alcool e sudori, mentre un’ultima sigaretta avvolge un sogno fatto di decappottabili che filano via e manciate di vento caldo tra i capelli.

Credit Foto: Allen Alcantra