Le origini di Anna Calvi:
Quando esce “Grace” di Jeff Buckley Anna Calvi ha poco più di dieci anni.
Quando esce “Dry” di Pj Harvey ne ha ancora meno.
Nick Cave in quel momento è in preda ai suoi noti struggimenti infetti e Nico invece è già  morta.

Il recente passato di Anna Calvi:
Anna Calvi è cresciuta, ha imparato a suonare la chitarra e farsi benedire dai giusti padri. Ha incantato Brian Eno, aperto i concerti proprio di Nick Cave, conquistato trafiletti entusiasti sul Guardian e l’Indipendent. Nme non si è sbilanciato, da sempre refrattario a incensare musica sfacciatamente mitteleuropea. Pitchfork attende l’uscita dell’album negli States, ma si è speso positivamente per la cover di “Jezebel” che da tempo circola in rete. Una cover così viscerale, a dire il vero, che ormai le quattro sillabe del suo nome vengono pronunciate con timore reverenziale.

L’immediato presente di Anna Calvi, nello stereo di casa mia:
Anna Calvi scrive un disco denso, stratificato e di una considerevole bellezza, a tratti.
Non le credo quando cita Maria Callas, Debussy e Capitan Beefhart tra i riferimenti principali, anche se capisco che questo può essere più funzionale alla mitologia del suo apparato. Gli altri nomi sarebbero stati tautologici, troppo sfacciati, troppo cattivi. Non le credo perchè in queste tracce Calvi mi sembra evidentemente ‘innamorata di’ e ‘ossessionata da’ un solo uomo, che è Jeff Buckley.

Riconosco questa devozione inconscia (altrimenti sarebbe stato scimmiottamento) nell’afflato mistico di “Morning Light” o nello struggimento di “First we Kiss”. E finchè si presta a questo corteggiamento col morto Anna Calvi è ineccepibile. In realtà  tutta la costruzione orchestrale del disco è molto buona, fatta di pause drammatiche, riverberi di chitarra, alti e bassi seduttivi tuo malgrado, soprattutto se fai parte della Resistenza al Feticcio Mediatico.

La strada del diavolo che tanto le piace, però, anche se è lastricata da buone intenzioni le si ritorce contro. Calvi non è capace di resistere alle tentazioni germaniche, e a volte trasforma la sua voce in uno strumento inutilmente teso, mentre in “Blackout” prende una poco convincente sbandata per Chrissie Hynde. La magniloquenza di certi passaggi fatti di rosari, spine, giravolte madrilene e casquè finale è troppa, anche per lei.

Il futuro di Anna Calvi:
Evitare che di lei si dica: Eppure qualcosa mi sfugge.