Un nome che quasi tutti gli ascoltatori di musica, come il termine in lingua italiana indica veramente, dovrebbero aver già  sentito. Tralasciando le innumerevoli parti del globo musicale italiano in cui è stato avvistato negli ultimi anni, possiamo direttamente parlare del disco, perchè ci sono molte cose da dire.

“Fragranze Silenzio” è molte cose. E’ un disco, prima di tutto, che affonda le unghie nella delicatezza del cantautorato per scavarne fuori tutta la rabbia che solo il passato di elettronica industriale di Daniele può rappresentare. Il problema è che questa volta l’artiglieria pesante è stata messa da parte, per illustrare un’ideale che si presenta come showroom di tutti i ghingheri di un glitch poco melodico, come dovrebbe essere, con la tendenza, prevalente, a sottostare alle meccaniche delle strutture cantautorali. E lo fa con una densità  di qualità  notevole.

Una cosa è facile presagirla, ascoltando le otto tracce: il disco dev’essere quasi sicuramente stato composto prima con chitarra e voce, rivestendolo solo successivamente di tutte le campionature e la patina elettronica che effettivamente lo cosparge in lungo e in largo, a partire dall’opening affidato ad una limatura trip-hop che si confonde con glitch hop, drone e le cadenze vocali che ti fanno pensare ad un Morgan distorto e soffocato nel rigurgitare parole che sono più che altro pensieri. E storie da raccontare. Il pezzo “La Bambina Intermittente”, si potrebbe elevare senz’altro a manifesto dell’intero disco: la spensieratezza di “Il Sole Domani”, dicasi spensieratezza alienata dalle devastanti grida pungenti e quasi urticanti che alcuni suoni riescono a sollevare creando un senso di tensione imprescindibile, si collega in maniera naturale con la decadenza ambient di “Cauterization”.

Analizzando l’aspetto letterario, troviamo molto di Baudelaire, forse qualcosa anche di altri autori francesi, Rimbaud in primis. I testi, incastonati in strutture parapoetiche, nascondono esistenzialismo quanto tecnicismi di evocazione di spleen perduti e che devono andar compresi solo con le dovute analisi, senza gli eccessi del virtuosismo ma neppure le banalità  del lasciapassare, opposto semantico e analitico del giusto peso letterale che le liriche, in musica, dovrebbero sempre avere se non vi chiamate Verdena avendone, allora, il diritto di farlo.

Per il resto, nonostante le dichiarazioni pessimistiche d’antiagonismo di “bisogna saper perdere, bisogna sapere come perdere”, all’interno dell’ottima “Raccontamelo Come Fosse Una Favola”, possiamo senz’altro attribuire a questo disco le virtù di essere un dono di inverosimile pregio nel panorama italiano d’inizio 2011. Riportando l’elettronica ad essere meno accessibile ma comunque di grande lavore, spazzando via i clichè di chi vuole questo genere solo suppellettile da pista da ballo, privo di valore letterario e di caratura psicologica che, beninteso, questo disco invece possiede. Un lavoro (quasi) perfetto, un po’ ambizioso, con tutto il giovamento che i buoni risultati, in questi casi, portano all’artista che ha il coraggio di osare.