La storia di una serata in compagnia dei ManzOni, intercettati prima di salire sul palco dell’On Stage di Castelfidardo; due ore di parole a briglia sciolta, su tutto e su niente. Pochissime domande da parte mia, presentatomi all’incontro con i soli brani del gruppo in mente, senza un registratore come si conviene e col taccuino rimasto praticamente vuoto. Eppure tante risposte ad interrogativi miei personali, ottenute da questi cinque uomini che ad un certo punto hanno deciso di unire le loro ‘forze’ per dare vita ad una creatura musicale che mancava nel panorama italico.

Proprio in questi giorni il disco omonimo, da qualche mese in streaming integrale e libero, esce per Garrincha Dischi e sono certo che se ne parlerà  a lungo, trovando un suo posto nelle fatidiche classifiche di fine anno; ma bando ai convenevoli.

Innanzitutto facciamo i nomi: Fiorenzo Fuolega (chitarra elettrica, batteria, loop), Carlo Trevisan (chitarra elettrica, batteria, loop), Emilio Veronese (chitarra elettrica ed acustica), Ummer Freguia (chitarra elettrica) e Luigi Tenca (voce e testi); tutti veneti, tutti residenti nelle più o meno prossime vicinanze di Chioggia (il quartier generale della band, la sala prove insomma). Il solo Ummer a fare la spola da Ferrara, città  nella quale si è stabilito ormai definitivamente. Tutti con proprie vite, personalità  differenti e lavori insospettabili e piuttosto ‘normali’. Incredibilmente nessun designer, pubblicitario, comunicatore. Eppure i ManzOni comunicano, eccome. In primo luogo una viscerale passione per la musica, in particolare per quel calderone, che ormai vuol dire tutto e niente, chiamato post-rock a fare da trait d’union tra le varie anime della band e le opinioni su una band italiana parecchio influente e il suo leader in particolare, invece, a dividere anche aspramente.

La genesi del gruppo ha inizio dal nucleo dei Maladives (Gigi, Emilio e Carlo), band dedita ad un suono più marcatamente classic-rock con un aggiunta di riverberi new-wave e la passione per un cantautorato ‘malato’ che si ritrova anche nei ManzOni, nati con l’arrivo di Fiorenzo; successivamente entra pure Ummer a consolidare il quintetto che ho di fronte oggi. Innegabile il fatto che all’interno della band Gigi incarni il ruolo di front-man con tutti i crismi, vuoi per una questione di anzianità , di maggior bagaglio di esperienze ma pure per una vera e propria capacità  di trovare le parole giuste per farsi ascoltare, senza farlo pesare sugli altri: dicesi carisma.

Tale ruolo, Gigi lo incarna con naturalezza e molto volentieri senza mai rischiare di assumere un peso eccessivo all’interno dell’equilibrio che regna sovrano tra i cinque musicisti, anzi spesso si schernisce e mette in burla l’etichetta di intellettuale ombroso, di poeta in nero, recluso ed escluso dal mondo. In realtà  Gigi è uno stagionato ragazzo dall’aspetto asciutto: ho paura di prender peso perchè anni fa ero grasso e dallo sguardo vivo. Un cinquantenne che, semplicemente, non sa stare sul divano ad abbrutirsi con la televisione ma preferisce stare all’aperto, seguire le tendenze della musica indipendente, fare concerti per pochi soldi e leggere “Il Gambero Rosso”: unica rivista che dichiara di acquistare ancora. Insomma un uomo ancora disposto a conoscere i pensieri di chi gli sta intorno e di spendere cifre mostruose nei ristoranti pur di scoprire sapori nuovi. Gigi, infatti ha una vera passione per l’enogastronomia, che lo spinge ad annusare il mio bicchiere di rosso stendendo un’esauriente scheda organolettica e scatenando l’ironia degli altri.

Tirando le somme abbiamo tanta natura, conoscenze del mondo contadino, buonsenso della vita vissuta e un bel numero di letture della miglior poesia, e non solo, italiana del secolo scorso a formare la sensibilità  del nostro Tenca. Io lì a proporre Ungaretti e il Carso e lui a rispondere Sanguineti, Quasimodo ma soprattutto Rigoni Stern e l’Altopiano di Asiago, luogo di origine che Gigi porta dentro. Ecco da dove provengono le liriche dei ManzOni, da questo luogo fatto di boschi, funghi, gran freddo e neve ma anche di acqua che scorre nel sottosuolo e non emerge mai, insomma un po’ di Carso c’è. Un ambiente che Gigi sente così tanto da arrivare a pronunciare l’impegnativa frase: dopo Rigoni Stern, la voce dell’Altopiano sono io, che potrebbe suonare antipatica se a pronunciarla non fosse un uomo che mi piace definire normale, di quella normalità  classica, ormai quasi del tutto persa, fatto di curiosità  e ironia.

Dicevamo dell’ammirazione che il resto della band nutre per Tenca ma in studio tutto cambia, ognuno ricopre un ruolo di importanza pari a quello di tutti gli altri. I brani nascono da un giro di chitarra dal quale Gigi si fa portare alla scrittura dei versi; la creazione del pezzo si muove per stratificazioni, tentativi, confronti e prove su prove. I ragazzi mi dicono che avrebbero già  una quantità  tale di pezzi nuovi da poter fare un altro disco e che effettivamente in sala prove stanno già  suonando cose differenti dai brani contenuti nell’esordio e Gigi scalpita. Vorrebbe suonare pezzi diversi dal vivo perchè a ripetere ci si rompe i coglioni, ma lo show-business impone delle regole e giù risate. Della musica dei ManzOni si è molto parlato, tirando fuori sempre il nome del post-rock, mi stupisce che nessuno (a parte me) abbia nominato gli Slint e mi rende orgoglioso il fatto che la band abbia molto apprezzato il richiamo.

Dopo questo tuffo nella vanagloria chiedo a Gigi quali siano i suoi “‘modelli’ autoriali e la risposta è interessante e spiazzante allo stesso tempo. Infatti oltre al già  citato (da Enrico Veronese, ubi maior…) Aidan Moffatt, mi vengono forniti i nomi di Shane McGowan, ex leader dei Pogues (scrittore migliore di Cave e Waits secondo me, su Waits boato degli altri), e di Claudio Lolli, autore per il quale la riverenza del nostro è totale. Tutto ciò ad ulteriore conferma che per i ManzOni la melodia è fondamentale, anche nel cantato; dimentichiamo quindi spoken-word, arringhe, narrazioni, dimentichiamo Collini, Ferretti, soprattutto Clementi, togliamo la letteratura e teniamo la vita. Ricordiamo solo ManzOni, quelli veri.

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