Ammetto di avere un debole per Eleanor Friedberger, che va al di là  del, pur altissimo, gradimento dal punto di vista artistico per quanto fatto in combutta col fratello Matthew pressappoco nell’ultimo decennio.  I Fiery Furnaces sono certamente uno dei gruppi più interessanti in circolazione e i loro (numerosi) dischi hanno aggiunto più di una sfumatura al concetto di pop contemporaneo, ma lei. Sarà  che il concetto stesso di ragazza con la chitarra mi ha sempre affascinato, sarà  quel viso imperfetto, pallido e spesso segnato da un accenno di occhiaie, la somiglianza piuttosto sensibile con l’altra Signora del mio cuore Charlotte Gainsbourg (dio mio!), il corpo fragile a nascondere un’anima musicale gigantesca, per tutti questi motivi non potevo perdere l’esordio solistico di Eleanor.

Bene, dopo aver meritato la disapprovazione di coloro che giustamente se ne infischiano della mia vita privata, vorrei spendere qualche parola anche sull’album in questione e dire innanzitutto che suona molto vicino a quanto prodotto dalla band madre soprattutto nell’ultimo “I’m going away”. Quindi gli strumenti convenzionali si fanno largo, nudi e puliti, tra l’elettronica che, al di là  di qualche rara e azzeccata incursione segna decisamente il passo, conferendo al tutto un calore che avvolge l’ascoltatore ed asalta le qualità  del disco perchè quello che non è mai mancato nella famiglia Friedberger è il fiuto per le melodie, il talento pop spropositato. Ed è da questo talento che scaturisce un pezzo come “I Won’t Fall Apart on You Tonight” vero zenit e paradigma dell’ispirazione che guida la composizione di un disco perfetto per l’estate, che saprebbe di certo rendere meno alienante la tremenda pratica dell’aperitivo in spiaggia: ci pensi tutti a ballare sulla sabbia intonando il ritornello killer escogitato da Eleanor, pettinati meglio, vestiti meglio, felici, amici. La pulizia del suono è una peculiarità  che risalta immediatamente e libera la batteria capace così di battere un ritmo lineare, e la voce che si può dispiegare limpida e priva di alcun tipo di effetto, una voce riconoscibilissima nel suo timbro delicato ma mai fragile capace di passare dal canto puro alla declamazione quasi rap, dalle atmosfere “Motown” a quelle del primo Beck con  una spruzzata di funk:  confrontare “Roosevelt Island” con “One-month marathon” per avere un saggio dell’ispirazione caleidoscopica di “Last Summer”. La stessa “Roosevelt Island” introduce un altro fatto ineludibile ovvero che questo è un disco su e per New York e Brooklyn in particolare, ma non quella di Williamsburg e dei locali trendy  bensì quella fatta di caseggiati e  parchi,  meno “cool” ma lo stesso ricchi di storia, la storia piccola che affascina Eleanor e che regala un tuffo nel passato recente della città , unito al retrogusto Seventies di certi suoni di basso, tastiere e sassofoni.

“Last Summer” è un disco eclettico, che trae spunto da esperienze diverse e che rimescola i generi con astuzia e gusto sopraffino, che stupisce e diverte mentre mostra chiaramente quanto si sia divertita l’autrice a scriverlo e suonarlo. Un disco che attrae subito ad un primo ascolto ma che poi richiede di essere approfondito, sviscerato senza mai annoiare. Splendido esempio di pop degli anni ’10.