Non si può dire che sia un fan del popolo tedesco ma ho sempre nutrito grande rispetto per il senso di abnegazione e la tenacia nel perseguire i propri obiettivi. Ciò che mi ha sempre contrariato, da animale costiero quale sono, è la scelta di indossare calzini (bianchi) e sandali nelle loro uscite serali, costume questo che si tramanda da generazioni. Più in generale non riesco a farmi una ragione della mancanza di quel pizzico di gusto, non scomoderei la parola “eleganza” chè di questi tempi risulterei ridicolo, che impedisce la scelta di cui sopra, oppure quella della maglietta bianca in bella vista sotto la camicia.

Mancanza di gusto, questione minima nel caso illustrato poco fa ma pure totale ignoranza del senso del ridicolo, scarso rispetto della propria storia, insomma tutto quello che può trasformare lo sguardo bonariamente censorio di un italiano balneare, che si gusta il suo gelato cioccolato fondente-crema, in furia violenta dello stesso italiano seduto sul divano, cuffie inserite, lo trovate nell’ultima “fatica” discografica degli Atari Teenage Riot. La band di Alec Empire mancava dalle scene dal 1999, da quel “60 Second Wipe Out” che coronava un decennio in cui era stata davvero importante e influente nel contesto musicale ma pure in quello sociale. Poi le storie di droga, gli addii dolorosi e le crisi depressive, infine lo scioglimento della band, la fine della storia di un gruppo proprio mentre la Storia aveva una svolta inevitabilmente irreversibile (11 settembre, la morte dei Movimenti, la guerra). Un decennio che, ascoltando “Is This Hyperreal?”, non sembra essere veramente passato, come se Empire (unico reduce della band primigenia, Nick Endo arriverà  solo nel 1997) l’avesse trascorso su Marte.

Hardcore digitale e approccio garage mescolati insieme per cucinare un pappone indigeribile buono solo per gli auto-scontro di periferia, laddove una volta era manicaretto succulento per gli adepti dell’underground. Non regge nemmeno il tentativo di suonare vintage grazie ad una strumentazione d’epoca (si parla di un mixaggio avvenuto grazie ad un vecchio Atari con 2 MB di RAM), perchè il problema maggiore è l’ispirazione che manca, subito dopo il fatto che il nuovo frontman, tale Cx Kidtronik, non sfiora nemmeno le vette di carisma del compianto Carl Crack. Il risultato finale porta dieci tracce che riecheggiano, quando va bene, Prodigy e Rage Against the Machine quindi non esattamente merce fresca, roba indegna pure di una raccolta di Z-sides, a volte persino grottesca (una traccia per tutte “Blood In My Eyes”) che fa apparire i musicisti ben più vecchi di quanto in realtà  sono.

Ripeto, l’essere passatisti non sarebbe un problema se le composizioni non fossero tanto mediocri e inferiori rispetto a quelle dei Novanta. Non troverete certo in me la rincorsa alla novità  a tutti i costi, soprattutto se la novità  si chiama James Blake o altri noiosi ventenni tanto in voga, ma il consiglio (se vi piace il genere) a ritornare ai dischi più vecchi sì, chè sono migliori e costano meno.