Evento imperdibile: rientra Robbie Williams ed i Take That finalmente riuniti nella formazione originale intraprendono un lungo tour mondiale che passa anche per l’Italia. Si deve andare e si va, perchè i Take That sono stati in passato un fenomeno di costume (e perchè no, un fenomeno musicale) molto importante ed anche oggi che siamo nel 2011 hanno parecchio da dire a livello musicale (anzi, in questo ambito hanno decisamente di più da dire rispetto al passato: i tre dischi post reunion sono dischi maturi che propongono pop di un certo livello, musica che per qualità , intensità  e freschezza di scrittura parecchie band odierne possono solo sognare) e a livello di costume (i Take That sono una band ancora oggi seguitissima, in grado di richiamare i vecchi fan nostalgici dei bei tempi andati e nello stesso tempo di conquistarne di nuovi). Ed allora si parte, destinazione Milano – stadio di San Siro. Al resto ci si penserà  poi.

E come è andata Ia data milanese dei Take That? I Fab 5 hanno regalato uno spettacolo difficile da dimenticare, due ore un quarto nelle quali l’hanno fatta da padrone la loro musica e le imponenti scenografie che hanno deliziato gli occhi dei presenti. Incredibilmente preceduti da opener superlusso come i Pet Shop Boys (imprescindibili anche dopo quasi trent’anni di carriera, il loro technopop non invecchia mai ed è in grado di scuotere anche una platea accorsa allo stadio solo per vedere la band principale ““ d’altronde canzoni come “It’s a Sin”, “Go West”, “Suburbia” e “Left To My Own Devices” non si regalano a nessuno), i Take That son saliti sul palco ed hanno dato tutto ciò che potevano. Una prima parte nella quale Jason Orange, Gary Barlow, Mark Owen, Howard Donald hanno proposto canzoni dai due dischi che li hanno fatti ritrovare “Beatiful World” e “The Circus” (grande Mark Owen in “Shine”!), una parte centrale con uno stellare Robbie Williams vero animale da palcoscenico a farci muovere il corpo (“Rock DJ”, “Let Me Entertain You”) e la mente (“Angel”, “Feel”, “Come Undone”) con i suoi grandi successi solisti, una conclusione nella quale i cinque di Manchester si ritrovano sul palco a cantare i vecchi (“Babe”, “Never Forget”, “Relight My Fire”, “Back For Good”) e i nuovi successi (“The Flood”, “Kids”, SOS”) per la gioia di tutti i presenti. Luci a San Siro, che c’è di strano siamo stati tutti là : il gigantesco androide alto venti metri parte della scenografia si è progressivamente alzato in piedi, come a simboleggiare il fatto che il quintetto mancuniano si è rialzato dalle sue ceneri, ha superato le difficoltà  ed ha definitivamente dimostrato che è molto più di una boyband simbolo degli anni novanta. Anche se magari nella vita di tutti i giorni si odiano e la reunion è stata fatta solo per il cash (ma non credo), i Take That visti sul palco a Milano sembravano cinque amici che si ritrovano dopo tanto tempo, decidono di dimenticare ogni incomprensione e si divertono come ai bei tempi (anzi, pure di più perchè liberi dal vincolo di piacere per forza alle ragazzine di mezzo globo terrestre) riuscendo pure a divertire la gente – ed è questo ciò che conta davvero.

A fine concerto l’androide in tutti i suoi venti metri di imponente fisicità  sembrava quasi voler uscire con la testa dal terzo anello di San Siro, per godersi una prima visione assoluta del traffico che congestionerà  le vie adiacenti lo stadio al momento del rientro a casa degli spettatori. Ingorghi stradali a parte, questo è sicuramente il concerto più prestigioso a cui io abbia mai avuto l’onore di prendere parte. E forse pure il più emozionante. Il pop, la musica per sognare.