Giovanna d’Arco è stata bruciata perchè vedeva cose. Perchè sentiva cose. E’ stata bruciata perchè i francesi del tempo non le stavano dietro, non la capivano. Tim Kinsella probabilmente andrebbe bruciato. Una bella pira fumante in quel di Chicago, sostanzialmente perchè evidentemente vede o sente cose che non c’è dato capire fino in fondo. L’intro strumentale di “I Saw the Messed Blinds of My Gen” di 7 minuti potrebbe benissimo essere il primo capo d’accusa di cui i Joan of Arc dovrebbero rispondere.

O forse no, quando Tim inizia a cantare, con quella sgraziata attitudine da mantra rock che mescola un ipnotico tono scostato dalla melodia in sottofondo a veri e propri ululati, capisci che non c’è molto da spiegare, che l’album ha una vita e un senso propri, che si scosta da tutto il resto visto e rivisto, che è un gesto fine a se stesso.

Si ritrova la vena sperimentale, in ogni traccia, sia nella durata come “Life Force”, abbozzo di una ballata volutamente lasciato tale, accennato, sia nel lamentoso rincorrersi delle chitarre al limite del delay nell’elegia “Night Life Style”, sia nei ritmi vagamente caribe della minimale “Howdy Pardoner”.
E forse questo è il limite del lavoro della formazione di Kinsella, unico vero e proprio membro fisso, la Giovanna d’Arco in questione, ovvero perdersi nel limbo della sperimentazione senza mai approdare ad una dimensione se non definitiva, almeno chiara in cui l’ascoltatore può fermarsi e non rincorrere il virtuosismo compositivo, che alla lunga si fatica a seguire. Che siano bravi e capaci a suonare non v’è dubbio alcuno, ma continuando ad aggiungere elementi su elementi, non fanno altro che confermare l’idea della band incompiuta, come già  suggeriva “Oh Brother” il loro album precedente, o come si poteva sospettare ai tempi della formazione Cap’n’Jazz con cui Kinsella esordì giovanissimo assieme al fratello Mike.

Detto questo, nonostante l’impossibilità  di capirli fino in fondo, i Joan of Arc si fanno apprezzare, con quel gusto per le cose strane, con quel gusto per il raffinato anche quando eccede di sofisticatezza.

E così mi ritrovo a riascoltare “After life”, con quel corus ossessivo e ritmo da south spiritual degli schiavi della confederazione, e m’immagino davvero una moderna Rouen, la piazza principale e i Joan of Arc bruciati per stregoneria, perchè non parlano la nostra lingua., perchè sono strani e così distanti dal già  sentito.