è stata dura ma alla fine nonostante i problemi di passaporto (e grazie a Ryanair) ce l’abbiamo finalmente fatta a vedere John Grant, e ne è valsa la pena perchè quella di Ferrara è stata una esibizione toccante e coinvolgente, di quelle che non ti scordi tanto facilmente. Nella sua musica ci sono storie di dolore, caduta e resurrezione che potenzialmente chiunque nella vita un giorno potrebbe trovarsi a vivere ma che sono raccontate in maniera unica e singolare e sentite dal vivo fanno tutto un altro effetto.

A Ferrara non c’erano i Midlake ad accompagnarlo ma è stato come se ci fossero visto che la voce possente dell’artista americano è stata in grado di riempire il piccolo quanto suggestivo cortile del Castello Estense, ed il pianoforte, la chitarra ed i synth analogici che lo hanno aiutato nell’impresa hanno conferito al tutto un tocco di austera marzialità  (potrà  mai un synth che pare uscito da un disco anni settanta a caso degli Yes essere austero o marziale? Io dico di sì). La grande genialità  di John Grant sta tutta nel fatto che è riuscito a rivendere Elton John agli indie kids, gente che se si fosse trovata di fronte il cantante inglese in carne ed ossa se ne sarebbe andata protestando, avrebbe iniziato a fischiare, avrebbe iniziato a lanciare oggetti vari ed eventuali (ipotesi a dire il vero molto remota) oppure molto più probabilmente si sarebbe limitata a scattare foto a caso e a parlare di dischi scaricati il giorno prima disturbando tantissimo gli interessati alla musica suonata e non a quella virtuale.

Che poi John Grant non recupera un Elton John qualsiasi, recupera quello pre-1990 che non aveva in testa il parrucchino, non aveva ancora detto al mondo intero di essere gay e scriveva pop song in grado di entrarti nel cuore perchè nascevano da una persona che stava male ma non poteva/voleva farlo sapere, e non recupera solo ed esclusivamente Elton John ma più in generale una certa estetica e certi suoni da radio soft rock americana 1979 circa (ad esempio il delirio cocainomane degli Eagles, dei Chicago o dei Supertramp), momenti che potenzialmente potrebbero essere kitsch in maniera imbarazzante ma che non lo sono proprio perchè si prendono talmente sul serio da sembrare dannatamente poco seri. Bravo, urge rivederlo dal vivo magari alle prese con una cover di “Blue Eyes”. Sono sicuro che sarebbe un momento bellissimo.

Le CocoRosie invece sono state una bella sorpresa. Sette anni fa hanno detto qualcosa di nuovo poi si sono un po’ perse per strada perchè già  dal secondo disco son diventate di colpo noiose, ripetitive e pretenziose nella loro proposta musicale fatta essenzialmente di voci infantili/incoscienti, chitarre acustiche, elettronica povera ed utilizzo di giocattoli per tirarne fuori suoni nuovi e bizzarri, però dal vivo è tutta un’altra storia, tutta un’altra musica. Suonano molto più moderne ed r n’b, hanno una presenza scenica che non ti aspetti e sembrano quasi voler “aggredire” (il virgolettato è d’obbligo, visto che ad occhio e croce sembrano essere le persone più pacifiche di questo mondo) il fortunato spettatore che si trova ad assistere ad una loro esibizione: impensabile anche solo ascoltando una mezza ciofeca come “Noah’s Ark”.

A Ferrara le CocoRosie han suonato due ore che sono passate in un batter d’occhio (e non è poco, visto che riuscire a terminare l’ascolto degli ultimi loro dischi era a mio avviso una autentica tortura), erano accompagnate da un incredibile human beatbox chiamato Say What (a dire il vero c’era anche su disco, ma dal vivo spicca molto di più e diventa ciò che fa davvero la differenza) e da un personaggio che smanettava i synth e ne tirava fuori suoni che parevano usciti dal cervello di Timbaland nel periodo in cui accendevi la tv, ti sintonizzavi su Mtv ed avevi una altissima probabilità  di imbatterti in un video di una qualche popstar in voga in cui però compariva anche il buon Timbaland perchè era produttore del brano ed artefice di un suono fichissimo. Bella roba dunque, e se solo volessero vendersi al miglior offerente ed insistere su questa vena plastic-pop le CocoRosie potrebbero godere di molta più esposizione mediatica ed arrivare molto più in alto. Matte come sono dubito che lo faranno, però è bello crederci ed illudersi.

Solo una cosa: perchè mai piacciono così tanto ai metalheads (metalheads, che termine fine novanta-inizio Anni Zero)? Al concerto di Ferrara ne ho visti un sacco, ed un paio addirittura facevano pure headbanging al ritmo della loro musica. Misteri della fede.

Foto Thanx to Luca Gavagna