Cosa dire di un disco di cui, a svariati mesi dall’uscita, già  s’è detto tutto. Settimo disco della popstar islandese, progetto multimediale, primo app-album della storia dell’umanità  ““ Steve Jobs, buonanima,  ringrazia sentitamente. Tecnologia, natura, tecnologia che si ricongiunge alla natura, natura che si rispecchia nella tecnologia e via dicendo; strumentazioni al limite del paranormale, pendoli e bobine di tesla cantanti, enormi carillon dal nome impronunciabile e assurdi incroci tra celeste e gamelan comandabili da costosi tablet, roba da far mangiare il fegato a Laurie Anderson. Esclusivi concerti in pacchetti da 6 esibizioni in poche, selezionate città  del mondo, per quelle che gran parte degli stessi spettatori hanno definito come le migliori performance dell’artista da tempo. E la musica?

Perchè sì, insomma, potrebbe anche esser la miglior iniziativa commerciale degli ultimi anni, ma da Björk, seppur acclarata icona pop, ci si aspetta qualcosa di più che da una Rihanna qualsiasi. In particolar modo in seguito ai magri esiti di quel “Volta” che nel 2007 segnò la prima sosta della continua ascesa creativa dell’islandese. Un disco che, nella sua godibilità , interrompeva un percorso di ricerca artistica di quasi vent’anni. Da qui il bivio che probabilmente ha determinato la stessa ricercatezza che contraddistingue la nuova era discografica.

Una ricerca che si manifesta in brani eterogenei ““ musicalmente non c’è un concept generale come nei classici dell’artista nordica ““ contraddistinti da una comune esasperazione di base: scarni o sfarzosi, ma quasi sempre con una melodia di fondo a regolare il tutto. Esemplare, da questo punto di vista, è la penultima “Mutual Core”, pura bipolarità  sonora. Una canzone sulla tettonica delle placche che, coerentemente, si sviluppa dalla placidità  di una base monocorde e di un cantato didascalico alle esplosioni di bassi vulcanici e di lapilli industrial, ad accompagnare i celebri vocalizzi di Björk. Ma andiamo con ordine: “Moon”, già  fu singolo, apre mestamente le danze con una fluida melodia per arpa, a cui va ad aggiungersi il coro nel climax centrale. “Thunderbolt”, che tanto s’era fatta apprezzare nelle registrazioni dal vivo per i ronzanti bassi delle bobline di tesla (veri e propri fulmini al servizio della canzone) vede drammaticamente diminuito il servizio apportato da quest’ultimi, che finiscono per assomigliare a dei banali synth. Un buon midtempo che andava sfruttato di più.

“Crystalline”, raffinata rispetto alla prima versione pubblicata come singolo, è costruita sulle trame intricate del gameleste, strumento inventato dalla stessa Björk dall’unione di una celesta e di un gamelan; i saliscendi vocali e i bassi metallici conducono l’ascoltatore ad un’inattesa coda drum’n’bass, anch’essa rielaborata in extremis. “Cosmogony”, nocciolo centrale di “Biophilia” è una messa cantata sul creazionismo (curioso come una fervente atea autrice di un disco scientofilo tratti l’argomento), mentre la lenta “Dark Matter”, nonostance un divertissement al vocoder, accusa un po’ il colpo appesantendo l’atmosfera. L’oscurità  prosegue all’ascolto di “Hollow”, baldanzosamente ansiogena e pregiata, sul finale, da battiti dubstep e contorte armonie coristiche di forte impatto. “Virus”, che avrebbe potuto tranquillamente far parte di “Vespertine”, s’intreccia dolcemente tra il gameleste e l’hang, una percussione metallica.

Nuovo pezzo, nuovo strumento musicale: è il turno dello sharpsichord, enorme carillon, a costruire la base di “Sacrifice”, caricata di battiti forsennati all’alzarsi della parte vocale. La chiusura lenta e tranquillizzante, tradizione bjorkiana, si manifesta nella conclusiva “Solstice”, difficile da separare dalle sue rappresentazioni dal vivo: posizionata tra due enormi pendoli a cui sono collegate quattro corde a pizzicare una melodia pacata, Björk risponde a chi dava per spacciata la sua voce con una valida performance canora dal sapore orientaleggiante.
Nel suo insieme, “Biophilia” recupera egregiamente lo scivolone di “Volta”, andando a scrivere una delle migliori pagine di musica di questo 2011.

Biophilia
[ One Little Indian – 2011 ]
Similar Artist: vulcani, pietre, sequenze di dna
Rating:
1. Moon
2. Thunderbolt
3. Crystalline
4. Cosmogony
5. Dark Matter
6. Hollow
7. Virus
8. Sacrifice
9. Mutual Core
10. Solstice