Attenzione! Comunicazione importantissima per tutti gli avventori di Indie for Bunnies! gli M83 sono alla ricerca, per il nuovo tour mondiale, che parte dal Messico in ottobre, di un polistrumentista che se la cavi a menadito con chitarra, basso e tastiere. Per rispondere all’annuncio basta poco: essere disponibili per 12 mesi con possibilità  di proroga, e naturalmente vivere nella sconfinata Los Angeles Area”…

Il duo francese con questo nuovo lavoro punta decisamente in alto. Gli M83, galvanizzati dai numerosi riconoscimenti ottenuti finora, hanno deciso di mettere da parte gli indugi pubblicando un album doppio, zeppo di tutte le loro architetture musicali, quasi un marchio da imprimere a quest’era, ricca di contaminazioni, partecipazioni sempre eccellenti (in questo caso Beck, Zola Jesus ed il bassista dei NIN) e di generi musicali in continua fusione-evoluzione. Ci vengono presentati come una band shoegaze, ma, ascoltando i quasi 70 minuti di musica di “Hurry Hup, We’re Dreaming” si sente che c’è molto altro a bollire nel pentolone. Quindi non ci scandalizzeremo mica noi, cultori del sound che negli anni 90 seppe stregare Robert Smith e soci, se il mood di “Midnight City”, posta sapientemente dopo il solenne “Intro”, ricorda i New Order più furbi, con tanto di voce distante, monotona, che sibila nel bel mezzo di danze e tripudi scatenati da una moltitudine di tastiere. Non ci scandalizziamo neanche se ” Soon, My Friend ” , la traccia che chiude la prima parte dell’album, ricorda molto di più i Pink Floyd di “Atom Heart Mother” che non gli Slowdive. Per virare su atmosfere care ad un Kevin Shields qualsiasi bisogna attendere la chiusura della poderosa “The Bright Flash” o l’attacco di “New Map” e “Ok Pal” (secondo disco).

In mezzo troviamo davvero tanti spunti ben congegnati tra loro che rendono questo album difficile da analizzare brano dopo brano; è più semplice infatti vederlo come un’opera unica, intrigante, quasi labirintica. La costruzione dei brani è quasi sempre focalizzata su un’idea melodica fissa che sembra ripetersi in loop, con sintetizzatori e progressioni ritmiche che incalzano man mano. Spesso la fanno da padrone echi e reverberi che toccano tutto ciò che si muove in questo denso panorama sonoro, comprese le chitarre filtrate in multi effetti e poste a strati. Colpiscono alcune chicche circa gli arrangiamenti mai banali, come il solo di sax nel finale di “Reunion”, il basso slappato e ostinato di “Claudia Lewis”, il flauto di “New Map”, le armonizzazioni vocali di “Splendor”. Ciò che emerge maggiormente da quest’opera è per l’appunto, la voglia di stupire riuscendo a conciliare atmosfere danzerecce, shoegaze e momenti quasi aulici dimostrando che i nostri non temono affatto il confronto con generi e soprattutto sonorità  provenienti dai più disparati universi musicali. Forse una track list più ridotta, prendendo il meglio da entrambi i dischi ci avrebbe stupito ancora di più. Giudizio comunque più che positivo, per un album degno della nostra attenzione e del nostro ascolto.

Credit Foto: Jeremy Searle