Comportamenti molto italiani che non riesco ancora a comprendere: portare il golfino appoggiato sulle spalle nelle sere di fine estate, acquistare auto costosissime a rate e scegliere l’inglese come lingua elettiva delle proprie produzioni musicali ad un passo dal 2012. Enzo Moretto fa parte di quest’ultima schiera, certo meno esecrabile delle prime, e ne sembra un convinto assertore, dal momento che il tentativo di usare l’italiano è stato subito accantonato dopo un’unica prova (la “Celentano” dell’EP “Rita Lin Songs”, peraltro semplice traduzione del brano presente in “Midnight Talks”). Di solito chi si affida all’idioma di Albione lo fa perchè alla ricerca di una maggiore visibilità  internazionale e gli …A Toys Orchestra non fanno certo eccezione, in questo senso va letto pure il rivolgersi alla label Ala Bianca che vuol dire distribuzione Warner eccetera eccetera. A mio modesto parere, suffragato da diversi esempi degli anni scorsi, credo che l’avere o meno visibilità  all’estero non sia tanto legato alla lingua quanto al genere proposto, alla scena cui si fa riferimento e su questo fronte la band campana di adozione bolognese parte piuttosto svantaggiata perchè l’indie rock, nelle sue sfinite sfumature, sta mostrando la corda da diverso tempo. Sarei felicissimo di sbagliarmi e auguro ogni bene ad un ensemble che, disco dopo disco, sta costruendo una carriera di tutto rispetto, premiata pure da un buon riscontro di pubblico e discreta esposizione sui media italiani di “prima fascia” (ricordo pure un articolo su “D di “Repubblica”).

Una band che fin dagli esordi, meno intriganti e più derivativi, fino a quest’ultimo “Midnight (R)evolution”, gemello “politico” di “Midnight Talks” vecchio di appena un anno, ha dato prova di brillantezza e ispirazione, facendo leva sul talento compositivo e sulla passione, innanzitutto di ascoltatore, del proprio leader Enzo Moretto. Il quale da sempre si cimenta nella scrittura dei brani, coadiuvato da un gruppo di ottimi musicisti e accompagnato dai contro-canti dell’affascinate Ilaria D’Angelis, caratteristiche che mescolate insieme creano un suono ormai inconfondibile. Quando penso ad  …A Toys Orchestra, penso a dischi ben fatti in ogni loro parte e pure piacevoli, eppure tali da non farmi mai stracciare le vesti, perchè mancanti di originalità , di quel guizzo in più che rende una melodia, magari meno rotonda, ma lo stesso immortale. Accade quindi che, pur apprezzando brani che ben riflettono circa la situazione attuale, non parliamo di protesta per carità , come “Midnight Revolution” e “Pinocchio” (dai sentori comenciniani), il cuore fatichi a scaldarsi e la mente a ricordare. Rimangono i vecchi amori come Pink Floyd o King Crimson (“Noir Dance”) o le sfarzose orchestrazioni figlie del “prezzemolino” Enrico Gabrielli (“Lotus”) e ne sbocciano di nuovi (gli echi TV on The Radio di “You Can’t Stop Me Now”), su tutto una sensazione da Arcade Fire de noantri che mi lascia interdetto. C’è spazio pure per la tradizione americana in “Mutineer Blues” che ricorda certamente Jonny Cash ma pure certi Alice In Chains senza fili. La chiusura di “Goodnight Again” e “Late September” riporta dritti a “Technicolor Dreams” e a Dustin O’Halloran (senza dimenticare la coda tra il post-rock e i primi Muse), accentuando il senso di spaesamento di un ascoltatore che si chiede dove voglia andare questa band, senza trovare una risposta.L’eclettismo è di certo una grossa qualità , se accompagnato ad una lucidità  massima che, a mio parere, manca a “Midnight (R)evolution. Disco ricco di buoni spunti non concretizzati.