C’era una volta un ragazzo della middle class dai denti marci, che faceva parte, in compagnia del fratello minore (con cui finiva spesso per azzuffarsi), della più grande e sbruffona rockband britannica degli anni novanta. Ora quel ragazzo è diventato un uomo squattrinato, si è sistemato i denti, continua a suonare la chitarra, ma non più nel ‘gruppo di sempre’ a cui ha voluto mettere la triste, ma forse giusta, parola fine. Adesso il suo gruppo non fa altro che rispondere al suo nome, Noel Gallagher accompagnato da un quasi-inutile High Flying Birds, tratto da un brano dei Jefferson Airplane. (Vi evito la solita pappardella che avrete letto in questi giorni “l’ex leader degli Oasis, che dopo la furiosa litigata di Parigi si ritrova da solo”…..ecc ecc”. Sapete già  tutto, almeno credo, se non è così: wikipedia–> Oasis).

Infondo si era già  capito nel lontano 1996 che Noel Gallagher un giorno avrebbe intrapreso la carriera solista. Solo, sul palco del Royal Festival Hall (vedi “Oasis Unplugged”), seppur ancora acerbo, dimostrava la capacità  di poter fare a meno del fratellino. Poi la tournèe acustica qualche anno dopo, accompagnato dal fidato Gem Archer. Insomma, era scritto che Noel, prima o poi, avrebbe abbandonato baracca e burattini, era solo questione di tempo o meglio di litigate. La litigata (famosa) è puntualmente arrivata, The Chief ha abbandonato i suoi Oasis, e dopo due anni di silenzio, passati a cambiare pannolini, se ne è uscito con un album che sa vagamente di capolavoro, non una novità  visto che il più grande dei Gallagher in fatto di capolavori è addetto (“Don’t Look Back In Anger”, “The Masterplan” tanto per”…).

Epico ed elegante. Con queste due parole potrebbe venire riassunto il lavoro di mr.Noel Gallagher, prodotto tra gli studi di Londra e Los Angeles al fianco del fidato Dave Sardy (“Dont Believe the Truth” e “Dig out your soul”), e non potrebbe essere altrimenti dopo il glorioso attacco di “Everybody’s On the Run” (capolavoro n.1) a base di archi e cori degni del miglior Ennio Morricone.
“Non aspettatevi rock’n’roll, gli Oasis lo erano..ora sono solo un cantautore”. E lo si nota dalla riduzione ai minimi termini di assoli di chitarra, spesso sostituti da quelli di un’inedita tromba, vedi “The Death of You and Me” e “Soldier Boys and Jesus Freak” (entrambe con palesi influenze Kinksiane), e dal numero di ballad presenti: “If I Had a Gun”(la Wonderwall degli anni 2000), “(I Wanna Live In A Dream In My) Record Machine” e “Stop the clocks” (rispettivamente capolavori n.2, n.3 e n.4). Tuttavia il rock’n’roll, che lo ha fatto grande con gli Oasis, The Chief non lo ha ancora messo in cantina e “Aka..Broken Arrow”, “Dream On”, “(Stranded On) The Wrong Beach” e “Aka..What a Life” (tuffo nella Madchester di fine anni 80 che sà  vagamente di We Love You degli Stones) ne sono la prova, pezzi massicci e martellanti che racchiudono in essi l’essenza dello stile Noeliano a metà  tra il rockblues più solido e il brio del brit sixties.

Che dire poi dei testi. Noel Gallagher è forse l’ultimo dei grandi songwriter rimasti. Non gli interessa, e mai gli è interessato di cambiare chi sa cosa con la propria musica, piuttosto ha sempre mirato ad arrivare dritto all’animo degli ascoltatori. E mai come ora è riuscito nel suo intento.

p.s. meriterebbero una recensione a parte le numerose bsides uscite durante l’attesa del disco (“Alone the rope”, “A Simple Game of Genius”, “The Good Rebel”, “Let the Lord Shine a Light On Me” e “I’d Pick You Everytime”) che nulla hanno da invidiare alle più fortunate 10 finite su disco.